STRATEGIE

Technology transfer: che cos’è e perché rende le aziende più “open”

Il processo di trasferimento tecnologico non riguarda solo università e centri di ricerca: una tecnologia può essere spostata da un settore a un altro o da un’azienda a un’altra. Rientra nell’approccio di open innovation che porta una società a cercare innovazione al suo esterno. Ma deve essere strutturato e sistematico

Pubblicato il 28 Set 2017

technology-transfer

Ma il technology transfer è open innovation?”. Recentemente ci è stata fatta questa domanda, alla quale abbiamo risposto “Ovviamente sì!”, ma ci piacerebbe parlarne meglio qui e articolare quanto discusso con l’imprenditore che ci ha posto il quesito.

Secondo quanto riportato nel nostro libro “Open Innovation Essentials for Small and Medium Enterprises”, secondo noi l’open innovation è un approccio talmente vasto da coprire svariate pratiche di collaborazione con l’esterno.

Nella figura del libro dove schematizziamo quale sia, a nostro avviso, l’ombrello dell’open innovation, si vedrà che esso comprende il crowdsourcing e lo scouting. Il crowdsourcing, di cui abbiamo abbondantemente parlato anche su EconomyUp, si sviluppa poi nei challenges e contests di co-creazione, co-sviluppo e ideazione attraverso forme diverse di campagne (piattaforme online, open labs, hubs, hackathons, ecc.). Lo scouting, che può essere di nuovi fornitori, di brevetti, di tecnologie, di talenti, di startup (startup hunting) o di nuovi partners, viene anch’esso incluso sotto l’ombrello dell’open innovation, nonostante sia una pratica ben diversa dal crowdsourcing, e ci sia una certa sovrapposizione tra le due.

L'ombrello dell'open innovation secondo Innoeventually
Infatti, lo scouting tecnologico può essere anche fatto per mezzo di alcune metodologie di crowdsourcing, ad esempio utilizzando le piattaforme online, e lanciando delle “call” per ricercare nuove tecnologie che l’azienda richiedente potrebbe poi utilizzare in nuovi prodotti o servizi. Infatti è questo il senso della figura, che come si vede sovrappone il technology provision ai challenges.

Ma il processo di trasferimento tecnologico non si esaurisce certamente nella semplice ricerca della tecnologia. Una volta che la tecnologia viene identificata deve necessariamente iniziare un processo per portare all’interno dell’azienda la tecnologia. Questo prevede che si inizino delle discussioni su quale sia il miglior modello di business da creare, per far sì che si sfrutti la tecnologia nel miglior modo possibile. Una volta individuato il modello di business, certamente bisognerà pensare al “revenue model”, ovvero a come gestire i profitti generati dal nuovo business. Il modello di licensing, o la vendita, del brevetto, è certamente un altro aspetto importante, e che generalmente richiede molta attenzione e un tempo adeguato per essere accuratamente gestito. Poi bisognerà trasferire il know-how e implementare la tecnologia, sia a livello di “inserimento” nel nuovo prodotto o servizio, sia come industrializzazione e scale up in produzione. E infine la gestione dei profitti, secondo il revenue model concordato nella fase di contrattazione.

Di technology transfer si sente spesso parlare, ma ancora più spesso sembra appannaggio di università e centri di ricerca, quando in realtà una tecnologia può essere trasferita da un settore industriale ad un altro, ovvero da un’azienda ad un’altra.

In quest’ottica il trasferimento tecnologico rientra certamente nell’approccio aperto, e nello specifico in quell’approccio detto outside-in (o inbound). Infatti, in genere, trasferire una tecnologia significa individuarne una all’esterno e portarla in azienda, cercando il migliore modo di sfruttarla e farci dei profitti ragionevoli. Quindi, a colui che dopo averci fatto la domanda, se è o meno open innovation, ci dice che la fanno già da tempo, non possiamo affatto dare torto.

Il technology transfer è una metodologia di open innovation, oserei dire, e certamente la mossa particolarmente smart del Prof. Chesbrough è stata appunto quella di trovare il modo di creare un paradigma che comprendesse tutte queste pratiche di innovazione, che prevedono che un’azienda cerchi all’esterno ciò che manca al suo interno.

Detto ciò però vorremmo aggiungere che nonostante molte aziende si siano avvalse, o si avvalgano, del trasferimento tecnologico, lo step successivo deve essere quello di sfidare i propri limiti e cercare le fonti non ovvie di innovazione (qui citiamo il Prof. Piller quando parla di “unobvious others[*]). Con questo vogliamo dire appunto che non basta aver fatto innovazione cercando tecnologie altrove e trasferendole in azienda, ma è necessario trovare anche il modo di entrare nella specifica forma mentis dell’open innovation, che come ben sappiamo (e leggiamo) comporta anche una trasformazione culturale importante. Sarà necessario strutturare l’approccio, renderlo endemico, e soprattutto standardizzarlo in un processo ben compreso e divulgato in tutta l’azienda.

Quindi, per concludere, il technology trasfer è open innovation, ma è necessario che venga strutturato e reso sistematico ogniqualvolta si voglia fare innovazione anche con un approccio aperto.

[*] http://frankpiller.com/open-innovation/

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