1525! E’ il numero delle Start up innovative registrate presso le Camere di Commercio italiane al 15 gennaio. Un dato in crescita costante che dimostra la vivacità del mercato nonostante le griglie di accesso che all’inizio di questo nuovo canale previsto dal Decreto Crescita 2.0 avevano suscitato qualche perplessità tra gli addetti ai lavori. Nonostante i requisiti richiesti, le Sti aumentano perché le agevolazioni concesse a chi entra in quell’elenco sono interessanti e quindi vale la pena adeguarsi.
I numeri non dicono tutto ma certamente sono un indicatore oggettivo. La lista periodicamente aggiornata del Registro delle imprese non contiene certo tutto l’ecosistema italiano ma ne è una buona rappresentazione. Resta comunque un riferimento ufficiale e necessario per leggere il mercato e le sue evoluzioni. Ma oltre a indicarci quante sono le start up a termini di legge, dove sono e genericamente in quale settore operano poco altro dicono (la data d’inizio attività, il codice fiscale e quello ATECO….). Soprattutto poco dice la registrazione sull’effettiva qualità del progetto, a parte il fatto di avere i requisiti richiesti. Ma avere nel team dei ricercatori o essere titolari di un brevetto non è garanzia del successo di un’impresa. E soprattutto della correttezza della sua gestione.
Lombardia (311), Emilia Romagna (168) e Lazio (154) sono le regioni a maggiore concentrazione di start up. Al Sud si difende bene la Puglia (64). Fanalino di coda è la Val d’Aosta (5). Ma non si può dare per scontato che lì dove ci sono più start up ci sia più innovazione. E non è detto che avere tante start up sia automaticagaranzia di crescita, aumento dell’occupazione, e via discorrendo
Una normativa, per definizione, non può entrare nel dettaglio e soprattutto non può essere dinamica. Non può permettersi di seguire le evoluzioni, più o meno corrette, dei soggetti regolati. Ma per un settore così variegato e movimentato come quello delle start up è necessario andare oltre i dati di identificazione burocratica, passare dalla carta di identità alla storia, dalle regole alla loro attuazione concreta e quotidiana. Presto quindi si porrà la questione di un monitoraggio che non deve essere solo un ulteriore controllo burocratico ma un’immersione qualitativa nell’elenco del Registro. Si protrebbe quasi dire di un passaggio da un esame scritto e a quiz a un esame orale e di fronte a una commissione attenta e competente, interessata non più al rispetto della legge ma alla congruità del progetto e dell’impresa.
Questo monitoraggio aiuterebbe anche a fare una corretta valutazione degli effetti degli importanti provvedimenti legislativi dell’ultimo anno: sono efficaci e sufficienti? Per evitare di dare solo risposte politiche e interessate o appassionate e confuse serviranno presto dati ricavati su ipotesi precise e schemi di analisi condivisi.
A chi toccherà fare questo lavoro è tutto un altro discorso. Ma prima o poi bisognerà cominciare a farlo.