Settimana scorsa sono stato invitato a presentare all’Italian Tech Week di Torino, come l’Italia si posizioni in ambito internazionale in termini di startup e open innovation (nota a contorno: ritorno in presenza in grande stile e numeri importanti, alta qualità di speaker e contenuti e ritmo incalzante dettato da Riccardo Luna)
Vi riassumo la conclusione:
Startup in Italia: i dati sembrano disastrosi, in realtà non sono eccezionali, ma dobbiamo essere ottimisti.
Di seguito i dati e i messaggi principali, in formato domande e risposte (link al video completo del mio intervento qui per chi volesse più dettagli).
1. Quanto cuba il mondo delle startup italiane in termini di PIL e occupazione?
Non tanto ($2.5 miliardi di fatturato complessivo e tredicimila addetti), meno dello 0.1%.
2. Ma allora perché è così importante?
Perché cresce anno dopo anno, con una piccola percentuale di nuove imprese (5-15%) che diventano aziende serie.
3. Come si presentano le startup italiane a livello internazionale?
Male. Comparata agli altri paesi europei l’Italia è indietro (investe meno di un miliardo all’anno, contro i 4 di Francia e Germania e i 10+ del Regno Unito). E l’Europa peraltro non è l’epicentro mondiale dell’innovazione.
4. Che cosa manca?
Il mondo delle corporate che, a parte Enel, stanno entrando solo ora realmente in gioco. Difficile dire se la loro mancata presenza sia la causa della debolezza dell’ecosistema italiano delle startup ovvero, viceversa, se la loro limitata operatività sia dovuta alla carenza di startup locali.
5. Quali sono le conseguenze?
Le startup nostrane per crescere vanno all’estero (le storie di unicorni a sangue italiano cui stiamo assistendo quest’anno – Sysdig, Depop, Thumbthack, Kong fino a TrustLayer, ne ho parlato in precedenti articoli – sono state realizzate altrove), le aziende italiane per trovare startup con soluzioni mature devono di necessità fare scouting fuori dal Bel Paese.
6. Che cosa possono fare le aziende italiane per colmare il gap sull’open innovation?
Andare oltre gli annunci e agire. Essere partite tardi paradossalmente dà loro un vantaggio: possono imparare dalle esperienze degli altri (facendo benchmarking con gli innovation leaders, cosa che a Mind the Bridge facciamo regolarmente) e attivare una sorta di fast track.
Quindi, perchè essere ottimisti? Perché, riprendendo le parole con cui ha chiuso il suo intervento Elon Musk:
“Better to be optimistic and wrong rather than being pessimistic and right”.