VENTURE CAP

Startup, i soldi pubblici servono ma solo se gestiti dai privati

Finanziarie regionali, fondini provinciali-comunali hanno generato grandi perdite. Unico caso virtuoso la legge 388, che prevede il co-investimento dello Stato con privati senza entrare nella gestione. È il modello da seguire per un fondo per l’innovazione

Pubblicato il 26 Feb 2014

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Pierluigi Paracchi, founder and Ceo Medixea Capital, Investor and Board Member at EOS

Nel mio ultimo post elogiavo i risultati straordinari delle start-up biotech italiane, finanziate con soldi privati, e bastonavo gli interventi pubblici a presunto sostegno del venture capital (VC). Certo, i soldi per investimenti proprio non ci sono: quando ho iniziato come venture capitalist nel 2002 si faticava ad arrivare a 100 milioni di euro di investimenti totale Paese/anno. Dopo 12 anni parliamo ancora di un target di 100M€.

Allora l’intervento pubblico serve! Ahimè si. Serve per sviluppare un settore striminzito e per dare “power” alle start-up. Ma attenzione, la leva pubblica è pericolosa, dissemina sotto-performance (vedi studio del World Economic Forum citato nel post del 20 febbraio scorso). In questi anni ho visto molti interventi pubblici disastrosi: finanziarie regionali che si sono schiantate, fondini provincial-comunali mangia soldi oppure fondi di fondi ministeriali con così tanti lacciuoli che hanno e ancora generano solo gran perdite. Il tutto innaffiato dai soldi del contribuente.

Ho un unico esempio semi-virtuoso (sottolineo il “semi”): la legge numero 388 del 2000 (entrata in funzione nel 2005..) dell’allora Ministero delle Attività Produttive, oggi MISE – Sviluppo Economico. Qui lo Stato non era protagonista ma co-investiva con investitori privati che in precedenza aveva accreditato. Ciò senza entrare nel merito dell’investimento ma affidandosi al gestore privato che apportava pari denari.

La start-up biotech EOS – Ethical Oncology Science è stata finanziata nel 2008 da Quantica SGR con la leva della legge 388: metà capitali privati, metà capitali pubblici; pari passu. In circa cinque anni di investimento non abbiamo mai avuto ingerenze nella gestione della partecipata o del fondo da parte di funzionari pubblici. Abbiamo potuto fare il nostro mestiere. Risultato: allo Stato rientreranno circa 15M€ su 1,5M€ investito. Non si è mai visto!

Sintesi. Serve un fondo di co-investimento pubblico senza “brain”, vale a dire un fondo che co-investa con il sistema privato – fondi di VC, Business Angel, Crowdfunding – ma che non entri nel merito né della selezione degli investitori né nella selezione degli investimenti. Il settore pubblico affida una sola volta l’intermediario (che deve rispettare requisiti di qualità e legalità) dopodiché automaticamente raddoppia l’apporto dei capitali privati investiti nella singola impresa. La gestione della partecipazione è affidata, anche per la quota pubblica, al privato. Il co-investimento avviene operazione per operazione. La parte pubblica, infine, riconosce una commissione di gestione al privato e lo premia in caso di buona performance dell’investimento al netto di un interesse minimo di remunerazione del capitale.

No comitati di pilotaggio pubblici, no gestorini pubblici o para-pubblici = risorse più efficienti al sistema.

*Pierluigi Paracchi, è Ceo Medixea Capital, @pigiparacchi

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