Bella giornata quella organizzata ieri 13 marzo a Milano dall’associazione Italia Startup a Milano per fare il punto sullo stato dell’ecosistema startup in Italia. Serviva un momento di raccolta, un momento per condividere i passi fatti fino a qui e per iniziare a tracciare qualche riga e tirare qualche somma.
Personalmente sono contento delle cose che ho sentito ma sono ancora più contento di ciò che so delle persone che le hanno dette, del loro impegno, del loro volere veramente fare le cose, della loro idiosincrasia per la retorica e per le chiacchiere.
Ci sono però dei timori che ho, sia ben chiaro non sono timori verso l’impalcatura istituzionale, concettuale, operativa che è stata messa in piedi, quella va bene, sono timori verso alcuni elementi che devono essere consapevolmente tenuti in considerazione se vogliamo che l’ecosistema funzioni veramente.
Parto dai timori meno seri, quelli che un po’, confesso, mi fanno sorridere. Il primo di questi timori un po’ barocchi è quello della battaglia tra Milano e Roma che pare si siano messe in corsa per conquistare il ruolo di capitale delle startup in Italia. La mia riflessione è: bando-alle-ciancie. L’ultima cosa che serve è disperdere energie nello spingere da una parte o dall’altra, nell’investire soldi, magari anche pubblici, per alimentare tale confronto (già girano voci di veline che arrivano a qualche testata, di riunioni carbonare per spostare d’ufficio gli equilibri, di accordi con incubatori internazionali per farli venire gratis in Italia o di mega eventi galattici interplanetari per contrastare quelli dell’altro capoluogo). Tutto ciò è antipatico, controproducente e soprattutto inutile. Che ci sia concorrenza è un bene, anzi è il bene quando si tratta di confrontarsi sui mercati, ma è proprio il mercato che deve essere l’unica vera determinante del successo di una piazza piuttosto che dell’altra. E poi una delle caratteristiche di questo fenomeno delle startup è il suo multi-centrismo e quindi se proprio la vogliamo mettere sui campanili, ma è ovviamente meglio puntare sulle sinergie, dobbiamo sapere che non ci sono solo quelli di Roma e Milano. Che ognuno si giochi le sue carte, che chi è ente o istituzione sopra le parti resti sopra le parti, e il resto sarà deciso dal mercato, da chi fa impresa, da chi finanzia l’impresa, da chi la sostiene a vario titolo.
Altro timore tra i meno seri è quello che si è concretizzato durante l’evento quando un mormorio ha accompagnato l’annuncio che il ministro dello Sviluppo Federica Guidi non sarebbe venuta come da programma. Ci fu un tempo in cui le istituzioni proprio non se le filavano le startup ma di eventi se ne facevano e di solito i politici che partecipavano a tali eventi, quando accadeva, si limitavano ai saluti. Il ritornello era: ‘quando si parla di innovazione i politici mandano i saluti’. Quel tempo è finito per fortuna e personalmente lo considero un risultato assai positivo, passi avanti sono stati fatti a grandi falcate e il fatto che oggi il ministro non sia venuto ma abbia mandato un messaggio è un fatto al quale non serve dare peso eccessivo anche perché ci si aspetta che a breve, come annunciato dal capo della segreteria tecnica del Mise Stefano Firpo, il ministro farà una relazione in Parlamento proprio sul tema startup, quindi restiamo sintonizzati e badiamo ai contenuti.
Ecco i contenuti appunto. E qui i miei timori un po’ più seri si fanno. Parto con quanto detto proprio da Stefano Firpo e, ribadisco, ciò non mette in discussione il lavoro fatto fino a qui fin dal momento in cui la task force per le startup ha mosso i primi passi e fino al raggiungimento di quanto è stato realizzato che, come lo stesso Firpo sottolinea, ha portato anche grande visibilità e reputazione al nostro Paese a livello europeo. Ciò che mette un po’ di timore sono alcuni aspetti, Luca De Biase che ha moderato l’evento li ha definiti ‘granelli di sabbia nei meccanismi’, si sa che a volte anche un semplice granello di sabbia è in grado di fare non pochi danni quindi è meglio individuare ed eliminare questi granelli fin da ora.
Quali sono questi granelli? Tre soprattutto a mio avviso vanno messi sul piatto e affrontati a dovere:
1) lo scollamento tra la visione dell’ecosistema e i problemi reali che le startup affrontano tutti i giorni che ancora esiste nella dicotomia tra la visione e la costruzione quotidiana, qui è importante entrare nel dettaglio, comprendere e analizzare i fattori che ancora creano mal di pancia e grattacapi. Si fanno tantissime ricerche e indagini, forse è venuto il momento di farne una per chiedere a chi fa startup cosa maggiormente ostacola il loro lavoro e come si può intervenire per alleggerire gli ostacoli strutturali, burocratici, fiscali soprattutto.
2) la poca forza di impatto che i provvedimenti figli del lavoro della task force sta avendo come lo stesso Firpo ha detto e qui bisogna chiedersi se si tratta solo di una questione di tempo e di maggiore forza nella comunicazione o se alcuni di questi provvedimenti non sono andati a segno perché non perfettamente tarati. Serve insistere solo nel renderli più visibili e noti – e qui magari un bel road show magari ci sta e magari accoppiato proprio con l’indagine di cui sopra – o serve anche andare a vedere se alcuni sono inefficaci o parzialmente efficaci per qualsivoglia motivo?
3) ragionare molto bene sul nuovo visto per le startup che sta per debuttare, altro annuncio fatto da Firpo, che nei modi e metodi è di certo fatto bene perché non è deputato alle Questure ma è gestito centralmente e realizzato in collaborazione con chi le startup le segue tutti i giorni, ed è potenzialmente capace di risolvere i nodi burocratici che fino a ora hanno impedito a gente proveniente da fuori Europa di venire in Italia a fondare l’impresa innovativa, ma è solo questione di visto? Se i giovani imprenditori italiani che sono andati all’estero, hanno fatto la loro startup poi sono tornati solo per scoprire che è meglio ripartire, se i giovani e meno giovani startuppari italiani se possono se ne vanno a Berlino a Londra o perfino più lontano, perché un imprenditore o aspirante tale dall’estero deve venire in Italia anche se il visto non è più un problema? Il debutto dello startup visa va quindi accompagnato con una serie di azioni per fare in modo che chi arriva poi resti e non scappi dopo pochi mesi. Per esempio si potrebbe favorire, e non sto pensando a incentivi, la formazione di team multinazionali dove gli stranieri che arrivano e gli italiani fanno squadra, così facendo si accelererebbe il processo di internazionalizzazione del nostro ecosistema che ne ha di certo bisogno e magari il prossimo evento sugli Stati generali dell’ecosistema italiano delle startup oltre a parlare dei risultati lo faremo in inglese, lingua con la quale bisognerebbe fare tutti gli eventi con tema le startup anche da noi così come avviene nel resto del mondo.
Questi tre granelli sono tra loro connessi e rappresentano tre punti che vanno approfonditi per comprendere come il grande lavoro fatto fino a oggi può e deve essere reso realmente efficace, non sono problemi, sono riflessioni che meritano attenzione approfondita, sono elementi che esistono e si manifestano proprio perché siamo arrivati fino a qui e che danno ancora maggiore forza al lavoro fatto fino a oggi. Serve ora lavorare sugli effetti, dialogare in modo diretto con chi le startup le fa per capire quali sono gli ostacoli di ogni giorno, serve insistere e accelerare sul tema della relazione tra startup e imprese che tutti coloro che sono intervenuti all’evento: Riccardo Donadon presidente di Italia Startup e fondatore di H-Farm, Pierantonio Macola consigliere di Italia Startup e AD di Smau, Alberto Baban presidente piccola industria di Confindutria, hanno enfatizzato essere punto focale e determinante per la crescita dell’ecosistema. Tema che da tempo considero centrale vitale per lo sviluppo e per il sostegno alla crescita del valore delle imprese innovative e che già anima molte delle attività di Startupbusiness.