La polemica

Startup Cities o Startup Nations? Io non ho dubbi

I sistemi competitivi nel mondo hanno dimensione “metropolitana”, dice il presidente di Roma Startup che si è sentito chiamato in causa da un editoriale di EconomyUp. E qui spiega perché boccia la missione a Londra di Italia Startup e l’iniziativa dell’Ice di portare a Milano startup da tutta Italia per incontrare gli investitori internazionali

Pubblicato il 01 Dic 2014

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Gianmarco Carnovale, presidente di Roma Startup

Rispondo ad un post dell’amico Giovanni Iozzia, attento osservatore e narratore della scena startup ma che inizio a credere che non abbia del tutto compreso ciò che avviene nel resto del mondo in termini di ecosistemi startup, sviluppando così un’idea “tutta sua” di ciò che è bene e ciò che non lo è, tanto da arrivare a conclusioni davvero lontane dalle motivazioni che muovono parti in continuo conflitto del minuscolo settore in italia.

Devo premettere che rigetto come *offensiva* qualsiasi allusione ad invidia, o campanilismo, verso quella che nel mio caso è una posizione solidamente e profondamente motivata, differente e strutturalmente contrapposta a molte iniziative di un’organizzazione al cui interno operano numerose persone verso cui nutro stima e rispetto, ma con cui non posso che essere in disaccordo. Allo stesso modo non è campanilistica la mia visione nel momento in cui affronto il dualismo “Roma-Milano”. Parlo di calcio in altre sedi.
Andiamo al punto: come ho spiegato in diverse sedi, i sistemi startup competitivi nel mondo hanno dimensione *metropolitana*. E’ un fatto. Negli USA non si parla di ecosistema statunitense, e nemmeno californiano: si parla di ecosistema di New York, della Bay Area, di Boston. In Europa *nessuno* parla di ecosistema tedesco o britannico o francese: si parla di Berlino, di Londra, di Parigi. E’ talmente condivisa, la cosa, che iniziano ad uscire studi economici che inquadrano ed inseriscono in dottrina le metropoli come nuove “filiere produttive”. Le uniche eccezioni formali a questo nuovo modello produttivo “metropolitano” sono due stati con dimensioni da città: Israele e Singapore. Nella sostanza confermano la regola.

Ora pensavo che l’argomento fosse più che pacifico ma qualche settimana fa, in un convegno, Giovanni si è riferito all’ecosistema romano (nb: una dozzina di incubatori privati, investitori, aziende, centri di ricerca, università, istituzioni, tutte attive ed in collaborazione nel generare e favorire startup) dicendo che lo avrebbe piuttosto definito “sistema” togliendoci “eco”, perchè per lui “ecosistema” sarebbe quello nazionale.

La sua è una rispettabilissima posizione, ma personale. Non ha cioè niente in comune con ciò che si osserva nel mondo, né tantomeno con la definizione di ecosistema coniata dalla biologia, scienza dalla quale il termine (ed il concetto) è stato importato in economia: ecosistema è qualcosa che ha come componenti fondamentali la delimitazione e l’interazione continua tra i suoi elementi tanto da influenzarsi vicendevolmente. Quindi la prossimità ne è una condizione essenziale. E’ quindi vero l’esatto contrario di ciò che Giovanni ha affermato su quel palco: Roma (e qualsiasi altra città in cui esistano molteplici diversità in costante interazione tra loro) è “ecosistema”, ed eventualmente è l’Italia ad essere “sistema”.

Venendo poi alle due attività che Giovanni ha citato, i casus belli quali la missione a Londra e l’evento ICE, e sulle cui critiche mi sono sentito chiamato in causa, sono due cose molto diverse tra loro: boccio tout cour la prima, perchè abbiamo bisogno che i VC vengano ad investire qui e non che si trovino le startup servite sul piatto d’argento a casa loro. Apprezzo Marco Bicocchi Pichi che ha promosso la missione, lo trovo persona capace e competente, ma a mio avviso l’iniziativa resta miope per i motivi che sto esponendo. Diverso sarebbe l’andare ad uno dei maxi-eventi mondiali, per loro natura contenitori di startup provenienti da tutto il mondo.

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La seconda iniziativa non la boccio in sè perchè ne sono il padre: ho scritto io l’articolo di legge che obbliga ICE a svolgere queste funzioni ed il MiSE a finanziarle, era contenuto nel DDL Agenda Digitale che era stato approvato in Parlamento nel 2012, svariati mesi prima che l’allora Ministro Passera convocasse la sua task force, ed è stato da questa integralmente copiato ed incollato nel Decreto Crescita insieme a qualche altra cosa sempre scritta mesi prima come l’articolo sul work for equity, sono l’autore anche di quello (anche se non mi è mai stato riconosciuto e non rientro tra quelli “ringraziati” nella pubblicazione che ne venne fuori. Ovviamente quanto affermo è dimostrabile, il DDL è scaricabile dal sito della Camera).

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Ma di sicuro boccio la pretesa di prendere startup da tutto il paese per portarle a Milano, ennesima puntata delle innumerevoli manovre per concentrare a Milano tutto ciò che quaglia per provare a salvare Expo dal fallimento, anche se ciò significa drenare risorse ed attenzione che spetterebbero ad altri territori. Boccio tale pretesa perchè, in virtù del ragionamento soprastante sugli ecosistemi metropolitani, i VC esteri vogliono sapere in quale città italiana devono recarsi per trovare le startup. Per trovarle al di fuori degli eventi, intendo. Prendere startup da tutta Italia e portarle in una città, qualsiasi essa sia, non ha alcun senso. Ha senso concentrarvi giusto ciò che è già in prossimità.

Ciò detto, questo ragionamento è talmente condiviso dal sistema romano che a Milano il 9 non ci saranno startup della capitale. In accordo ed in collaborazione con ICE (e con molti altri), il 10 si svolgerà il Roma Venture Forum, giornata che “include” la seconda giornata di “Italia Restarts Up” (brand esplicativo ma per me orribile), a cui interverranno i medesimi VC che il giorno prima vanno a Milano insieme a molti altri, con la differenza che se Milano mostrerà “l’Italia”, il 10 sarà invece una giornata dedicata all’ecosistema di Roma.



Questo perchè a “noi romani” interessa costruire una relazione stabile, con gli investitori che verranno, facendogli sapere che potranno tornare a Roma in qualsiasi momento al di fuori di un evento, e in poche ore potranno vedere decine e decine di startup validate e pre-investite da svariati incubatori, acceleratori, angels.

Detto in altre parole: da qui in avanti smettiamo di polemizzare esprimendo il disaccordo su come altri stanno malgestendo le cose, e di come si stia perdendo un’opportunità di creare valore pur di fare le cose come al solito “all’italiana”.

Noi “romani” dopo due anni di disaccordo abbiamo deciso di fregarcene, d’ora in avanti faremo a modo nostro, o meglio faremo del nostro meglio per tentare di replicare ciò che si fa nel resto del mondo, e ci rimbocchiamo le maniche per la nostra startup city. Beninteso, è un “nostra” aperto a chiunque voglia contribuirvi. Lo dissi in faccia a Corrado Passera, prendendo il microfono quando presentò in H-Farm il lavoro della task force: per completare l’opera e diventare rilevanti nel mondo – in questo settore – bisogna avere il coraggio di scegliere il territorio in cui concentrare questa strana “industry” così multistakeholder. Quale che sia, ma serve una scelta, perché la non-scelta porta alla diluizione su tutto il territorio, che è la cosa peggiore che possa succederci.

Passera farfugliò e di fatto non rispose. La politica non ha mai dato seguito. A questo punto noi facciamo la nostra scelta e scattiamo avanti.



Un sincero in bocca al lupo a tutti gli altri: saremo ben felici di ritrovarci nell’unico paese al mondo in grado di generare mezza dozzina di startup cities, e quando ci saranno ammetteremo con gioia di esserci sbagliati.

* Gianmarco Carnovale è Presidente di Roma Startup

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