Provocazioni

Start up è bello! Ma è utile al Paese?

Startup è una fase del processo imprenditoriale-innovativo. Se scollegata dal tessuto imprenditoriale (e dai punti di forza) del Paese però non ha senso…E’ innovazione del nulla! Ecco i cinque rischi che si corrono tra proliferare di iniziative e autoreferenzialità dell’ecosistema

Pubblicato il 01 Lug 2013

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Carmelo Cennamo, Assistant Professor of Strategy & Entrepreneurship, Università Bocconi

Non c’è sito internet di informazione, programma di approfondimento economico e persino dibattito politico in Italia oggi dove non si parli di startup. Tutti vogliono dire la loro, tutti vogliono apparire come innovatori, propugnatori del nuovo che avanza. Tanto meglio se viene dall’estero, e magari ha un bel termine in inglese da pronunciare con fierezza. Startup è cool! La terra promessa per aspiranti Zuckerberg nostrani, e la panacea prospettata per tutti i mali del capitalismo italiano fatto di nanismo: bassa crescita, bassa competitività, basso tasso di innovazione….insomma basso tutto. Occorra che si alzi o rialzi? Beh, startup! In fondo suona come stand-up, alzarsi appunto. Da qui, il nuovo grido per l’Italia potrebbe essere stand-up and startup!

Ecco quindi il proliferare di una serie di iniziative a riguardo, col risultato che oggi in Italia vi sono più eventi, business contests, laboratori e programmi vari di accelerazione dedicate a startup che startup reali. Ma tutto questo serve al Paese? È davvero la risposta alla scarsa innovazione e competitività del sistema Paese?Se si continua nella direzione intrapresa, temo proprio di no. Tutto ciò non servirà al Paese, che presto si dimenticherà delle startup, per cavalcare quello che sarà il nuovo concetto cool del momento. Ecco in breve il perché:

1) Nascita senza crescita. A cosa serve agevolare la creazione di startup se poi occorrono più di 200 giorni per ottenere una qualsiasi autorizzazione? Non si capisce perché si dedichi tanto sforzo alla sola fase di nascita di un’azienda, se poi vi sono fattori ostativi alla fase di crescita (problemi quali accesso al credito e capitale di rischio, burocrazia, e mercato del lavoro poco flessibile e che mal risponde alle esigenze della domanda) che in pratica decretano la morte di migliaia di aziende ogni giorno. Non sarebbe più auspicabile ed efficace partire dal risolvere questi problemi se si vuole incentivare la nascita, crescita e competitività delle aziende italiane, e con essi la tenuta economica del sistema Paese?….anche perché la nascita di una startup non compensa, almeno nel breve, la perdita di competenze, capitale umano, ed altre risorse che si disperdono con la cessazione di un’azienda consolidata.

2) Solo digitale. In Italia startup è praticamente sinonimo di digitale. È pur vero che il digitale è il nuovo che avanza, il futuro dell’economia. Ma digitale è solo un modo di fruizione di beni/servizi che dovranno pur sempre essere prodotti. È chiaro perché molti startuppers (ed investitori) si focalizzano sul digitale: offre molte opportunità di business; occorrono pochi capitali iniziali per lanciare una versione “beta” del prodotto ed essere subito sul mercato; è scalabile e quindi con opportunità di crescita notevoli, ed in tempi relativamente brevi. Ma non tutte le startup diventano Facebook; anzi, solo una percentuale infinitesimale prossima allo zero. Il rischio quindi è che focalizzandosi solo sul digitale si finisca per creare sottoprodotti di qualcosa che altri (oltre oceano o a Berlino) fanno meglio, vuoi perché hanno risorse, “alfabetizzazione digitale”, o perché possiedono una scala economica e professionalità adeguate.

3) Due mondi separati: le startup sono cool, quindi non possono mescolarsi con il giurassico mondo delle aziende manifatturiere…vanno tenute separate. Forse questa falsa idea ha fatto si che in Italia l’ecosistema startup stia sviluppandosi in modo parallelo e del tutto disgiunto dalla realtà imprenditoriale italiana. Assomiglia a quelle fasi rivoluzionarie dove, valutando come vecchio, superato e da rifare l’esistente, lo si ignora per costruire qualcosa di nuovo che sia quanto più possibile distante dall’esistente.

4) Azzeramento del Made in Italy. Perché investitori dovrebbero puntare sull’Italia e su startup italiane? Cosa differenzia l’Italia, e gli Italiani, dal resto del mondo? Alcuni direbbero “la bellezza”, il gusto per il bello e lo stile, il design, e il patrimonio immenso storico-culturale che direttamente ed indirettamente influenza ogni italiano. Dopo tutto è questo che ha reso possibile la promozione del “made in Italy” nel mondo di prodotti in settori tradizionali quali tessile/calzaturiero, mobile/design/arredo, meccanica di precisione, lusso e prodotti eno-gastronomici. Cosa facciamo di questo patrimonio di competenze che ha contribuito a definire il vantaggio comparativo del Paese? Perché non puntare su quella che può rivelarsi la vera opportunità di rilancio di innovazione e crescita per il Paese: promuovere una sana “contaminazione” dei settori tradizionali, unendo i punti di forza del sistema paese con la nuova spinta imprenditoriale-innovativa che viene dal mondo startup. Facendo incontrare il “classico” con il “nuovo” potrebbe consentire non solo innovazione di prodotto e processo, ma anche la ri-generazione dei modelli di business (spesso obsoleti) nei settori chiave del made-in, e dare nuova spinta al made-in-Italy e al Paese in generale.

Superare l’effetto autoreferenziale in cui verte oggi l’ecosistema startup per integrarsi all’interno dell’ecosistema imprenditoriale più ampio del paese potrebbe si giovare all’intero sistema innovativo-competitivo. In questo quadro, le startup potrebbero essere concepite come, e di fatto diventare, laboratorio diffuso di innovazione per aziende “tradizionali” che in esse troverebbero il modo di superare uno dei limiti del capitalismo italiano: la scarsa capacità di ri-generare i propri modelli di business per crescere ed rimanere competitivi. Questa sì, sarebbe una vera rivoluzione per il Paese. Stand-up and startup!

Carmelo Cennamo, Assistant Professor of Strategy & Entrepreneurship, Università Bocconi

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