Nell’incrocio tra Fashion e Technology, laddove il sentiero una volta era impervio e difficile da identificare, oggi corre una provinciale, ma dai lavori in corso sembrerebbe stiano costruendo un’autostrada. No, no fermi! Nessun binomio indissolubile né matrimonio di ferro, usciamo da questa orgia di metafore…e facciamo chiarezza.
La tecnologia per i grandi brand del lusso è sempre stata, fatta qualche eccezione (vero Burberry?) il convitato di pietra al tavolo delle strategie, si era certi di doversene occupare, ma tanti (troppi) erano i timori di “contaminare” il brand attraverso una relazione con il consumatore, non più face to face, ma mediata da un qualsivoglia device tecnologico. Per una industry che basa gran parte della propria distintività sul valore della customer experience, una preoccupazione più che legittima.
Fu quindi il tempo delle “vetrine Internet” (paleolitico), dei video e delle sfilate on line (neolitico), di un mai troppo convinto e-commerce fatto in casa (medioevo) per poi arrivare agli shop on line in piattaforma white label (tardo-novecento), cioè sviluppati da uno specialista con la propria piattaforma, Yoox, come caso di successo, su tutti. Per quanto ancora marginali come impatto, per Armani l’e-commerce pesa 20milioni di € su 2 miliardi e mezzo di fatturato, almeno per lo shop on line questa sembra essere la strada giusta, sia pur con alcuni “caveat” strategici:
– quale fase del ciclo di vita del prodotto destinare alla vendita
– gestione dell’assistenza post-vendita
– politiche di reso
– inefficienze della logistica (caso italiano) che influiscono sulla customer experience
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L’innovazione rappresenta però sempre più uno dei pochi driver di sviluppo e competitività, e non si può ridurre l’impatto tecnologico ad un semplice canale distributivo in più. Il range di tecnologie oggi disponibili, quasi sempre proposte da start up, copre tutta la catena del valore di un prodotto.
Dalle nanotecnologie nella progettazione di nuovi tessuti e materiali, alle prototipazioni in 3D (Renzo Rosso usa gli avatar per fare i fitting), dai wearable device al recupero di efficienza nei processi produttivi grazie alla robotica e all’intelligenza artificiale, è difficile immaginare che un brand possa arroccarsi su posizioni conservatrici. Anche perché nulla di tutto ciò è in contrasto con il principio dell’artigianalità, intesa come unicità del design e della progettazione, gli unici due asset di un brand di successo non delocalizzabili né delegabili alle macchine.
Guarda caso una risorsa, quella dello “human touch”, che nel nostro Paese non è mai scarseggiata.
Tony Gherardelli è Innovation Communication Manager Luxury & Fashion industry, Intesa Sanpaolo Group