La settimana scorsa a Milano l’assessorato alla Cittadinanza Attiva, Partecipazione e Open Data ha organizzato un workshop aperto sulla partecipazione. Dopo una mattinata densa di interventi istituzionali e di esperti, la giornata è proseguita attraverso un lavoro diviso in tavoli tematici. La questione della partecipazione, stante una nascente attenzione della pubblica amministrazione e alcuni afflati normativi recenti (vd. modifica codice degli appalti, di cui abbiamo già parlato qui) guadagna spazio e, speriamo presto, possa ottenere anche risorse. Lo dico non solo e non tanto perché ciò potrebbe premiare anche imprese come la nostra, bensì perché il coinvolgimento attivo dei cittadini, anticipato rispetto a delibere e leggi, comporterebbe cospicui risparmi per gli amministratori, nella misura in cui permetterebbe una composizione anticipata degli interessi e contrarrebbe di gran lunga tempi e risorse destinati alla gestione e risoluzione dei conflitti.
Personalmente colgo due timori, sotterranei e diffusi, che ritengo corresponsabili della lentezza con cui il potere si accinge a varare serie politiche di public engagement (oltre alle gradite, ma francamente episodiche iniziative che spuntano qua e là). Il primo in qualche modo sottendente il secondo.
Primo timore della pubblica amministrazione: la democrazia diretta, il grillismo realizzato, la rimozione della camera di compensazione società-potere rappresentata dai partiti, dalle consorterie, dai filtri delle elezioni. Indipendentemente da come la si pensi sull’argomento, mi sento di tranquillizzare gli eventuali amministratori che covassero questo timore. La partecipazione non comporta ipso facto la destituzione dell’amministratore legittimamente eletto. La partecipazione rappresenta uno strumento consultivo prezioso, competente e assai meno costoso dei cosiddetti esperti, troppo spesso più onerosi che efficaci. La partecipazione, introdotta e promossa dai Comuni come strumento dell’ordinaria amministrazione, fungerebbe da recettore dei desiderata della cittadinanza, mappatura attiva delle diverse comunità presenti sul territorio e, last but not least, termometro dell’apprezzamento del lavoro svolto dall’amministratore di turno.
Derivante dal primo, il secondo timore della pubblica amministrazione consiste nel desiderio di attendere la cristallizzazione di un quadro normativo solido, prima di procedere all’istituzione di pratiche fondate sulla partecipazione dei cittadini. Avverto questa esigenza, formalmente legittima, spesso usata come “scusa” per traccheggiare, per non innovare, per non rischiare. Ma il quadro normativo non emergerà dal nulla. Sarà semmai progettabile solo come collezione di buone pratiche (diverse, indipendenti e non per forza replicabili).
Insomma, o gli amministratori prendono qualche rischio (del resto quanti rischi affrontano normalmente nel varare provvedimenti sordi ai bisogni delle popolazioni su cui incideranno?) e si muovono anche in parziale incompletezza normativa, oppure non si istituiranno le buone pratiche che successivamente andranno riunite in regolamenti/leggi. E nel frattempo le richieste di democrazia diretta saranno sempre più chiassose quando non aggressive.
La voce del verbo partecipare va declinata all’indicativo, senza remore, prima persona plurale: “partecipiamo”. Subito!