Bérénice Magistretti è una scrittrice e attivista non vedente. È stata giornalista tecnologica per TechCrunch e WIRED UK, angel investor e venture capitalist. Attualmente è impegnata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle disabilità “invisibili”, come disturbi visivi e uditivi, dislessia e altro ancora.
Il 16 ottobre ha scritto su Sifted (testata online supportata dal Financial Times), un post interessante dal titolo: “Queste 12 startup vogliono convincere i Venture Capitalist che la tecnologia per la disabilità è il luogo in cui devono investire i propri soldi”.
Il potenziale delle tecnologie per le disabilità: 2 miliardi di persone
La sua analisi parte dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: 1,3 miliardi di persone, il 16% della popolazione mondiale, soffre di disabilità significative. A essi si aggiungono 770 milioni di persone di età superiore ai 65 anni che (sperabilmente tardi) potrebbero dover affrontare qualche tipo di disabilità.
Il totale genera una platea di oltre 2 miliardi di persone interessate alle tecnologie per la disabilità, a partire dalla accessibilità ai vari strumenti di tecnologia assistiva.
Perché le tecnologie per le disabilità non sono sexy per gli investitori?
Nonostante questo enorme pubblico potenziale, fa notare Bérénice Magistretti, finora la tecnologia per la disabilità non è stata considerata un settore “sexy” dagli investitori.
È ragionevole pensare che ciò avvenga per due motivi:
1. Questo tipo di tecnologia è considerata di nicchia: spesso la tecnologia per la disabilità è progettata per soddisfare le esigenze di uno specifico gruppo di persone con disabilità. Questo gruppo può essere troppo piccolo e quindi meno attraente per investitori che cercano un mercato ampio.
2. È una tecnologia frammentata: ci sono molte aziende e startup che offrono tecnologia per la disabilità, ognuna con le proprie soluzioni. Questo può rendere difficile per gli investitori trovare un’azienda che abbia il potenziale di scalare.
Perché le tecnologie per le disabilità attireranno gli investitori
La situazione potrebbe cambiare? Forse sì, per due fattori:
1. La tecnologia sta migliorando rapidamente, rendendo possibile progettare soluzioni più inclusive e accessibili. Ciò potrebbe rendere la tecnologia per la disabilità più attraente per gli investitori.
2. In Europa e non solo, l’invecchiamento della popolazione farà crescere la domanda di tecnologia assistiva, per aiutare le persone anziane a rimanere indipendenti e in salute.
Chissà che il passaggio dalla “società della vecchiaia” alla “società della longevità” e quindi dalla silver economy alla longevity economy, cui fa continuo riferimento Nicola Palmarini, non possa contribuire ad aumentare l’interesse degli investitori. Alcuni esempi italiani comunque sono in campo, come il Fondo Quadrivio o Next Age 2023, programma di accelerazione per la Silver Economy di cui avevo scritto a inizio anno.
Rimane il fatto che il ragionamento avviato dal post di Bérénice Magistretti si colloca in uno scenario in cui, dopo l’eccezionale 2022, “l’inverno delle startup” ha colpito anche da noi. Nei primi nove mesi di quest’anno siamo passati da una raccolta di 1,6 miliardi di euro a soli 772 milioni. La previsione è di tornare ai livelli del 2019-2020.
Tuttavia, come testimoniano le storie di tecnologia solidale che ho potuto raccontare anche quest’anno, continuano a sorgere startup e imprese che vogliono stare sul mercato usando la tecnologia per migliorare la vita delle persone in difficoltà. Questo è ovviamente il primo requisito per avere e trovare investitori. Adelante!