La settimana scorsa ho pubblicato su LinkedIn dei dati di CB Insights sul funnel del Venture Capital.
Il funnel del Venture Capital
Il dato interessante che segnalavo era come, delle startup che facevano un Series A/B (quindi post seed):
- il 48% fallisse o sopravvivesse senza fare una exit;
- il 12% facesse una early exit (il più delle volte un acqui-hire -quindi finalizzata a rilevare il team- o un technology sales – cessione della tecnologia ancora senza un mercato);
- e solo il 40% proseguisse il percorso, secondo una logica “insert coin to play”.
- e, guardando i dati delle exit nei round successivi, emergesse come solo pochissime (tra il 2% e il 5%) riuscissero nell’intento di fare una exit importante.
Apriti cielo.
Sono arrivati una montagna di commenti la cui maggioranza è bene riassunta da quello riportato sotto. Provo a tradurre.
Siamo in un mondo drogato ove:
- sono valutate negativamente le aziende “self-sustaining”, dal momento che sono equiparate a quelle che falliscono.
- se una azienda non vende o non continua a raccogliere capitali, sta facendo qualcosa di sbagliato.
Questi commenti indicano in molto chiaro come in tanti:
- non sappiano come leggere i dati
- non capiscano come funziona l’industria del Venture Capital
Leggo dei numeri, ergo sum (un esperto)
Partiamo dal primo problema, genericamente inquadrabile nella categoria dell’ignoranza.
CB Insights, come tante altre società che sono focalizzate ad analizzare le startup, raccolgono dati sulle società “venture backed”. Questi dati sono naturalmente centrati sul capitale raccolto, con dettagli sui diversi round di finanziamento attraverso cui le startup passano.
Attraverso altre fonti, le stesse società riescono ad avere informazioni (spesso parziali, ossia non con lo stesso livello di qualità) sulle eventuali acquisizioni delle startup che fanno parte del loro database.
Se una startup non viene acquisita o non fa altri round esce dal loro angolo di visuale. Così come ne sono fuori “ab origine” le startup che non hanno mai raccolto fondi (le cosiddette “bootstrapped companies”).
Non le tracciano sia a prescindere che siano “alive and kicking”, “alive and rocking”, “alive and limping”, “dead”.
Se la tua domanda è ancora perché, vai (per favore) al punto 2.
Il Venture Capital questo sconosciuto
Ebbene sì. Alle società di venture capital non interessano le società self-sustaining che non facciano una exit. Queste ultime hanno un unico vantaggio: che non richiedono nuove infusioni di capitale.
Ma avere in portafoglio una azienda che anche produce utili ma che non ha piani di exit non è l’obiettivo. Perché un fondo di venture capital dopo 8-10 anni deve liquidare il portafoglio e restituire il capitale (più i ritorni) a chi ci aveva investito (in gergo gli LPs). Per questo tipo di aziende bisogna cercare chi sia disposto a subentrare nelle partecipazioni o, più spesso, accordarsi (quando possibile) per un buy-back con l’azienda stessa. Di certo, in ogni caso, il ritorno non è particolarmente elevato, perché chi deve vendere, di solito vende male.
Il che non significa che non siano buone aziende. Semplicemente non sono aziende buone per le società di venture capital che, per natura, cercano imprese capaci di fare exit importanti in un arco temporale limitato.
Per le altre aziende, il venture capital è semplicemente lo strumento sbagliato. Per finanziarsi, in caso di necessità, ci sono le banche.
Se non fossi ancora convinto, invito ad ascoltare l’intervista a Massimiliano Magrini su Innovation Weekly: qui il link per chi volesse sentire tutta la nostra conversazione, qui la mia sintesi su EconomyUp.