Sono rientrato da poco da Rende, in Calabria, dove si è tenuta la finale del Premio Nazionale per l’Innovazione. Per tutto il giorno oggi non ho fatto altro che pensare a quanto significativa sia stata questa XIII edizione del Premio. Dopo averci riflettuto per bene, ho identificato quattro motivi precisi a supporto di questa intuizione.
In primo luogo, i numeri. L’insieme delle Start Cup regionali che alimentano il Premio Nazionale per l’Innovazione ha battuto ogni record, e lo ha confermato come la principale business plan competition italiana: più di 3.200 partecipanti hanno inviato 1.278 idee e 608 business plan. È la dimostrazione che le nostre sovente bistrattate università sono ben capaci di stimolare studenti e ricercatori, giovani e meno giovani, a “mettersi in gioco” per trasferire la loro conoscenza e i risultati del loro lavoro in nuove attività imprenditoriali. La statistica ci insegna che, nel giro di un anno, più della metà di questi progetti si concretizzerà in un’impresa, andando a costituire circa un quinto delle startup innovative che nasceranno nel nostro Paese. Nel giro di qualche anno, esse creeranno 1.500-2.000 posti di lavoro diretti, per un impatto occupazionale complessivo pari a 8-10 mila posti di lavoro. Non sono numeri da poco.
In secondo luogo, la qualità dei progetti. Tutti i visitatori e i giurati con i quali ho parlato riferivano che, girando tra gli stand delle 63 finaliste e assistendo alle loro presentazioni, erano rimasti colpiti non solo dallo spessore tecnologico delle startup, ma anche dal grado di maturità. Qualche progetto era forse un po’ “indietro” nello sviluppo, come è normale che sia laddove c’è una base scientifica più sofisticata. Però, anche questi progetti più acerbi dimostravano consapevolezza dei passi da compiere, e avevano definito una roadmap per non rischiare di rimanere fermi.
Terzo, la distribuzione dei progetti. La distribuzione settoriale, innanzitutto, con il 40% dei progetti appartenenti alla categoria Life Sciences (biotech, farmaceutica e dispositivi medici), e la parte restante divisa in parti quasi uguali tra le categorie Cleantech&Energy, Industrial e ICT. Chi ancora pensa che le startup vere siano quelle “digitali” farà meglio a ricredersi. Ma la sorpresa più grande è venuta osservando la distribuzione geografica. Il 39% delle idee inviate al Premio provenivano dal Sud (40% dal Nord, 21% dal Centro) e, dei quattro vincitori, ben tre venivano da regioni meridionali. È un segno che la capacità di cogliere opportunità imprenditoriali non conosce né confini regionali, né stereotipi culturali: l’Italia è davvero, tutta insieme, una nazione di potenziali imprenditori. Certo, non sarà facile far crescere queste startup allo stesso modo in tutte le nostre regioni, e sarebbe irragionevole immaginare una “Silicon Valley” all’ombra di ogni nostro campanile. Però, sono orgoglioso che PNICube abbia avuto successo nella sua missione di dare, in tutti i nostri territori, l’opportunità di compiere almeno i primi passi.
Il quarto motivo nasce invece dalla storia di New Gluten World, la startup vincitrice del Premio. New Gluten World nasce da diversi ingredienti. Il primo è una ricercatrice di quelle “toste”, Carmela Lamacchia. Insieme al suo gruppo dell’Università di Foggia, Carmela idea e brevetta un processo rivoluzionario per “de-tossificare” il glutine contenuto nei cereali, cosa che consentirà ai celiaci di non rinunciare al gusto del cibo tradizionale. È la soluzione a un problema serio e diffuso ma, soprattutto, una straordinaria opportunità imprenditoriale che Carmela e il suo team sanno cogliere. Il secondo ingrediente è un ateneo lungimirante. Anziché cedere il brevetto, l’Università crede nella capacità imprenditoriale del team, e vede nella costituzione di una società spinoff il modo migliore per industrializzare il brevetto e portarlo sul mercato. Il terzo ingrediente è una grande impresa sconosciuta ai non addetti ai lavori: il Gruppo Casillo, un gigante nel settore dei cereali, che in questi anni di crisi ha visto raddoppiare il suo fatturato, superando nel 2014 il miliardo di euro. Il gruppo Casillo decide di investire nello sviluppo del brevetto l’equivalente di un “round A”, chiedendo in cambio una quota assai piccola di New Gluten World, segno chiaro che si tratta di un investimento di carattere industriale e non “predatorio”. Segno anche della fiducia riposta nel management della startup.
Quella di New Gluten World è più di una bella storia. Potrebbe essere un caso paradigmatico di una possibile “via italiana alle startup”. Una via basata innanzitutto sul vantaggio competitivo che deriva dall’operare in settori “forti” del made in Italy: per una startup come New Gluten World può essere meglio nascere a Foggia anziché a Palo Alto. Inoltre, una via che non si limita a ricercare quei capitali di rischio che in Italia scarseggiano ancora, ma anche le partnership industriali. Nella misura in cui il gruppo Casillo continuerà a porsi come partner vero e non come cliente monopsonista, New Gluten World avrà ampie possibilità di “scalare”, strutturandosi intorno a un business model IP-based, un po’ come ARM Holdings nel settore dei semiconduttori. Una bella prospettiva, che Carmela e il suo team dovranno ovviamente gestire con una strategia accorta, e che è altrettanto attraente del mitizzato sogno di crescere a colpi di round di finanziamento verso lo status di “unicorno”.
Però, per attuare questa “via italiana” servono tante Carmela Lamacchia e tanti gruppi Casillo. Persone e imprese concrete, che l’innovazione la fanno davvero, mettendoci poche parole ma tanto lavoro, intelligenza, visione imprenditoriale e… soldi veri. Persone che spero vedremo poco nei convegni, e tanto in laboratorio e in stabilimento.
Se in Italia ci sono cento Carmela Lamacchia e cento gruppi Casillo, il nostro Paese ha una speranza. A chi come me opera nel settore delle startup, l’onore di poter dare una mano per farli emergere e per farli incontrare.
@MarcoCantamessa