“Che cosa serve per creare un’azienda di valore? Prevedere il fallimento come parte del modello”. Le parole di Riccardo Zacconi, founder di Candy Crush e protagonista di una exit miliardaria, Alumnus Luiss 2018, rappresentano un interessante punto di equilibrio nel dibattito su un tema centrale in ogni attività imprenditoriale, ma soprattutto in quella delle startup e di qualsiasi progetto che mira a creare valore con l’innovazione.
LA PAURA DI SBAGLIARE E LA TENDENZA A NASCONDERE GLI ERRORI
Se le aziende faticano a fare innovazione, ad accelerare sulla trasformazione digitale, a sviluppare relazioni produttive con le startup è anche perché è ancora troppo forte la paura di sbagliare ed è assai radicata la tendenza a nascondere gli errori, quando vengono commessi, invece che affrontarli come stimolo del cambiamento. Come faccio a sapere se funziona? domandano l’imprenditore o il top manager alla startup, rivelando quanto si sia spenta nelle aziende la cultura del rischio. I modelli organizzativi, gestionali e finanziari sono costruiti sulla base di serie storiche. Ma l’innovazione non può avere precedenti, altrimenti non è vera innovazione. Il rischio, che comprende l’opzione del fallimento, è o dovrebbe essere un ingrediente essenziale di ogni ricetta imprenditoriale. Lo stanno dimostrando moltissime startup, nel mondo ma anche in Italia. Il fallimento quindi non va demonizzato, come abbiamo sempre fatto, soprattutto in Europa e specialmente in Italia, ma non va neanche idealizzato, quasi mitizzato fino a diventare autogiustificazione di incapacità o incompetenze. Quel che ci ricorda Zacconi è che il fallimento è una variabile che va gestita, così come qualsiasi altro elemento di un modello di business.
TRE PASSI PER GESTIRE IL FALLIMENTO
Bene, ma di che cosa parliamo quando parliamo di fallimento? “Nel marzo del 2000 ho perso decine di milioni e nel 2003 King si trovava a due ore dalla bancarotta”, ha rivelato tempo fa Zacconi al Corriere della Sera. Questa è la situazione estrema in cui può trovarsi chi sviluppa un progetto imprenditoriale. Ma molto più spesso si commettono “soltanto” errori. Come gestirli? Come ridurne l’impatto?
Queste domande sono state al centro di uno dei Debat organizzati proprio in occasione della Reunion 2018 degli Alumni Luiss, associazione presieduta da Daniele Pelli, dibattito ispirato” da Michele Costabile, docente di marketing e management e direttore del programma di entrepreneurship LuissVenture, che individua tre passi per una sana gestione del fallimento e degli errori. Il primo, lo abbiamo anticipato, è evitare la mitologia del fallimento, come certa letteratura statunitense potrebbe spingere a fare: “Fail fast to succed sooner” vale come tutti gli slogan. Il secondo passo è “modularizzare” gli errori, affrontarli pezzo per pezzo e tempestivamente. Ma, siccome nessuno è perfetto, la soluzione contemporanea per evitare di continuare a fare errori è affidarsi alla “mente collettiva”. Aprisi a stimoli e competenze esterne, sviluppare capacità di ascolto ed evitare l’autoreferenzialità.
IL PRIMO ERRORE? INNAMORARSI DI UN’IDEA
Il primo errore, il più frequente, infatti è innamorarsi di un’idea, la propria idea. “Noi avevamo cominciato con una bellissima piattaforma che non trovava però interesse, clienti”, racconta Enrico Scianaro, founder di Whoosnap. “Quando lo abbiamo capito abbiamo fatto pivot verso l’insurance e adesso le cose vanno molto meglio”. Aggiunge il responsabile marketing della stessa startup, Gerardo Gorga: “Io ho fatto l’esperienza come founder di un’altra startup dove ero talmente sicuro di me da essere rimasto solo con la convinzione necessaria per andare avanti. Non volevo ammettere di poter sbagliare, quindi non vedevo gli errori. Forse pere questo adesso sono diventato molto attento e severo nel cogliere gli errori e suonare l’allarme. Aiuta molto…”
COME TENERE SOTTO CONTROLLO GLI ERRORI
Per tenere sotto controllo gli errori e farne un’opportunità c’è solo modo, ricorda Roberto Magnifico di Enlabs: “Metriche, misurazione dei risultati, verifica. Ci vuole metodo e disciplina”. E tempi di reazione diversi da quelli abituali in una grande azienda. “Quando lavoravo nella moda ero abituata a pianificare a 6 mesi”, dice Chiara Mastromonaco, founder di Direttoo con Diego Pelle. “Adesso rivediamo i nostri piani ogni settimana in meeting in cui non si nascondono le cose che non vanno, gli errori commessi e si decide rapidamente di cambiare”. “Dovrebbe anche cambiare la cultura degli incumbent”, conclude Pietro Menghi, diventato CEO di Neosurance dopo 25 anni di lavoro in multinazionali. “Un approccio strutturato all’errore, alla possibilità di fallimento di un progetto è nercessario per portare innovazione nelle aziende, specialmente nel settore assicurativo, ma anche per migliorare la relazione con le startup”. Senza essere paralizzati dal terrore di sbagliare.