L’attenzione di tutti, un fatto quasi giustificato per gli europei, è sulla Grecia. Ma il mondo è grande. Apprendiamo qualche settimana fa che il governo di Puerto Rico ripudierà il proprio debito sovrano (non so se l’abbia fatto, seguo poco, mi si perdonerà, e poi sono poche decine di miliardi, mica tanto; e poi sono europeo, dopo tutto). E qualche settimana fa il mercato azionario cinese comincia a flettere: risultato della flessione ad oggi, 9 luglio, è una perdita di capitalizzazione di circa 2 mila miliardi di dollari in 17 giorni. Questi sono soldi veri, circa 9 ‘Grecie’ per intenderci. Si fa scura.
La reazione delle autorità cinesi – Per quanto riguarda la Cina, così come è vero sempre, il quesito interessante non è “quali possono essere gli effetti di un aggravarsi della crisi”. La domanda interessante è: cosa stanno facendo e intendono fare le autorità di politica economica per neutrializzare questa crisi sui mercati azionari/finanziari e fare in modo che essa non raggiunga l’economia reale, quella che consiste in lavoro e produzione, consumi e investimenti, scambi internazionali di merci e servizi? Certo a molti questo quesito non risulterà nuovo: e infatti è, pari pari, il quesito che ci si cominciò a porre in quell’estate 2007 in cui la crisi finanziaria inizialmente e subdolamente nominata ‘dei mutui sub prime’ ma poi subito riconosciuta come credit crunch si palesò in occidente. Che cosa abbiamo imparato da quella crisi? Che cosa hanno imparato le autorità cinesi?
Le prime reazioni delle autorità cinesi mostrano che esse sembrano ricordare bene poiché, mutatis mutandis, la loro reazione immediata alla situazione di pericolo per l’economia cinese e mondiale è assai simile a quella che adottarono BoE, Fed e Bce nell’autunno 2007: taglio dei tassi di sconto, immissione di liquidità nel sistema bancario nella speranza di neutralizzare la siccità che le banche stavano imponendo l’una all’altra e tutte al sistema dell’economia reale. Funzionò? No. Lo sappiamo bene perché il credito interbancario rimase congelato a lungo, fino a Lehman Brothers e ben oltre.
Abbiamo imparato dalla storia che dalla crisi è uscito, per primo e bene, chi, vista l’inadeguatezza delle politiche monetarie espansive a far ripartire il credito alle famiglie e alle imprese, adottò politiche di spesa pubblica finanziata in disavanzo. Certo, questo è proprio ciò che venne deciso dal G20 che si tenne a Washington, D. C, nel novembre 2008, quando alla Cina fu ‘chiesto’, o demandato non so, di stimolare un’economia mondiale in fase di rallentamento che preoccupava tutti. E il governo cinese finanziò in disavanzo spese pubbliche per la bella cifra di 576 miliardi di dollari Usa. Dollari ‘che non aveva’ per dirla con quelli che così chiamano la spesa in disavanzo. E gli Stati Uniti cosa fecero? Lo stesso, solo che nel novembre 2008 il presidente Bush era in uscita e Obama era ancora soltanto president-elect, e non poteva assumere responsabilità fiscali. Ma non appena la situazione lo rese giuridicamente possibile, nel gennaio 2009, il presidente Obama sottopose al Congresso un piano di aumento del deficit per quasi 800 miliardi di dollari, numero a cui si arrivò tagliando le entrate federali e aumentando le spese. E nel fiscale 2010? Avanti tutta, altri 850 miliardi di deficit federale! E l’Europa? E no, l’Europa fu frugale, i cosiddetti leaders europei vendettero la frottola secondo cui la crisi era stata determinata dall’indebitamento delle pubbliche amministrazioni e che dunque se ne sarebbe usciti tagliando la spesa pubblica. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nel 2010 i tassi di disoccupazione Usa ed europeo erano allo stesso livello, 10,5%. Oggi sono al 5,4% negli Usa e a più del 12% da noi. Congratulazioni austeri. Dunque?
Per una volta gli eventi da cui imparare sono sufficientemente vicini nel tempo e simili tra loro per evitare gli errori (europei) del passato recente che paghiamo e pagheremo per anni (questo è il cosiddetto ‘problema del debito greco’, non è mica altro). Bene la reazione monetaria delle autorità cinesi. Ma che non dimentichino che furono loro a dare il primo, fondamentale contributo a costruire la grande muraglia contro la recessione nel 2008 usando la leva fiscale. E non lo dimentichino gli Stati uniti, dovesse arrivare il momento di intervenire. L’Europa voltò le spalle al mondo, e ai propri cittadini allora, non sarà certo disposta a sconfessarsi ora.
*docente di Economia Politica al Politecnico di Milano