Da sempre sono convinto che la nascita di nuovi imprenditori capaci ed innovativi sia il motore per la crescita economica del nostro Paese. Ancora di più adesso che stiamo per affrontare una crisi che si preannuncia lunga e profonda. Si stima che almeno un terzo delle startup avrà assoluto bisogno di risorse finanziarie entro l’autunno: dobbiamo fare il possibile perché il nostro sistema dell’innovazione, piccolo, ma vivace, non imploda.
Il Governo ha definito i provvedimenti per fronteggiare l’emergenza, dimenticandosi finora delle aziende innovative che vanno trattate invece con misure ad hoc. Alle startup non rimane che seguire vari Decreti e cercare di rivolgersi alle banche per chiedere un prestito. A loro volta, le banche dovrebbero prestare grazie ad una garanzia dello Stato fino all’80%-90% (a seconda delle interpretazioni) dei prestiti erogati.
È una strada sbagliata. Lo è sia per le startup, sia per il Governo.
Questi finanziamenti, infatti, normalmente prevedono l’inizio dei rimborsi a partire dal secondo o terzo anno: poiché occorrono in media 7 anni prima che una startup generi cassa, fra un paio d’anni ci troveremo al punto di partenza.
“Kicking the can down the road”, direbbero gli americani.
Considerando poi che il tasso di messa in liquidazione di queste iniziative è superiore al 50%, potrebbero nascere centinaia di contenziosi tra i vari creditori, le banche e lo Stato – e quest’ultimo si configurerebbe addirittura come creditore preferenziale.
Si è anche ipotizzato un prestito convertibile in cui, in ultima ratio, lo Stato potrebbe convertire in equity i finanziamenti. Ma ci rendiamo conto? Che assurdità, lo Stato socio delle startup!
Non esiste un modo più semplice e immediato per sostenere queste aziende? Io credo di sì: smobilizzando gli investimenti dei privati e dotando queste aziende di un adeguato patrimonio.
La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane supera i 4.200 miliardi di Euro ed è una delle più alte nel mondo. Basterebbere adottare i giusti incentivi per stimolare questa ricchezza – ne basterebbe una piccola percentuale – e credo che molti in Italia sarebbero contenti di investire in queste aziende e nell’economia reale.
Prendiamo ad esempio il Regno Unito: qui le misure messe in atto dal Governo prevedono una detrazione fiscale dal 50% al 75%. Così, negli ultimi 10 anni, è stato creato un mercato 15 volte più grande del nostro.
In Italia l’incentivo è al 30%, una misura inadeguata per far partire questo mercato, incentivo che il Governo non ha mai osato aumentare nonostante i proclami ed un provvedimento di legge mai attuato.
La ricetta sarebbe molto semplice, ma forse interessa più salvare Alitalia anziché il futuro del nostro Paese.