Crowdbusiness

Non c’è ancora un’Europa degli investimenti dal basso

A Helsinki, in occasione del primo incontro continentale sulla Crowdeconomy, si è discusso delle barriere normative comunitarie che frenano ancora la diffusione dell’equity crowdfunding. E non per effetto delle lobby bancarie. Solo una piattaforma finlandese, Invesdor, può operare in tutti i Paesi dell’Unione

Pubblicato il 28 Ago 2015

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Alessandro Maria Lerro, presidente dell'Associazione di Equity Crowdfunding

Il 27 agosto ad Helsinki si è svolto Crowd Dialog Europe, la prima versione internazionale di un format tedesco creato da Michael Gebert; il focus del convegno è sulla crowdeconomy, nelle sue varie espressioni: crowdsourcing, crowdfunding e crowdinnovation. L’adesione è  stata molto ampia, con 300 protagonisti della crowd-economy provenienti da 23 Paesi, che hanno condiviso le proprie esperienze, confrontandosi con i colleghi nelle sessioni di dibattito e networking. La partecipazione dei Paesi baltici è stata particolarmente attiva e l’Estonia, più ancora che la Finlandia, si è presentata come Paese ideale di destinazione per la digital economy. La patria di Skype è intervenuta con una nutrita rappresentanza istituzionale ed imprenditoriale, promuovendo soluzioni innovative quali la residenza digitale, recentemente oggetto di un interessante editoriale su Wired.

Il mio intervento è stato centrato sulle forme correntemente utilizzate dalle multinazionali per innovare, utilizzando le esplosive capacità che derivano da un corretto e costruttivo uso del crowd. L’argomento è stato poi approfondito in un interessante workshop con il Prof. Thomas Peisl, docente di Corporate Strategy all’Università di Monaco, e successivamente con una serie di esperienze pratiche di multinazionali presentate da Koch, CEO della tedesca Hyve.

Sono state raccontate interessanti esperienze del mondo del lending, che si conferma il settore di punta della crowd-economy per fatturato e redditività.

Tra gli argomenti discussi, non poteva mancare la persistente difficoltà di far decollare il settore dell’equity crowdfunding, a causa delle barriere normative sollevate dagli Stati Membri dell’U.E. A prescindere dalle parole di circostanza espresse dal Commissario Europeo per l’Economia Digitale, Gunter Oettinger,  e dalla rinnovata fiducia che ha espresso nel crowdfunding, come strumento essenziale per il sostegno delle PMI e per uscire dalla crisi economica, è sotto gli occhi di tutti il colpevole ritardo della Commissione Europea, che ha più volte ribadito di non voler intervenire con misure di armonizzazione prima di due anni.

In Europa, gli investimenti ricadono nell’ambito di applicazione della disciplina MIFID (troppo complessa per il crowdfunding), alla quale i singoli Stati possono derogare sulla base dell’art. 3 della Direttiva MIFID, con la conseguenza, tuttavia, che le autorizzazioni in deroga non sono suscettibili di ricevere il c.d. passaporto europeo. I Paesi che hanno regolamentato l’equity crowdfunding hanno per l’appunto utilizzato l’esenzione prevista nell’art. 3, con la conseguenza che le piattaforme di equity crowdfunding autorizzate in uno Stato Membro, non possono sollecitare investimenti negli altri Stati Membri. Si tratta di un fatore critico, che priva lo strumento della sua caratteristica più interessante: la scalabilità data dal web e la capacità di raggiungere enormi numeri di sostenitori.

In proposito, Lasse Makela, amministratore delegato di Invesdor, ha annunciato di aver ottenuto in Finlandia l’autorizzazione MIFID per operare come una SIM, con tutte le potenzialità che derivano dal passaporto europeo: la piattaforma finlandese è l’unica, al momento, che abbia scelto questa strada e che quindi possa operare come piattaforma di equity crowdfunding in tutta l’Unione Europea.  Proprio su questo argomento è stato di particolare interesse un confronto tra il moderatore del convegno, David Wilcox, CEO dell’americana Reach Scale, ed Oliver Gajda, executive director dell’ECN (European Crowdfunding Network). Alle provocazioni di Wilcox, Gajda ha risposto recisamente che il sistema bancario non è tra gli oppositori dell’equity crowdfunding o tra le organizzazioni che hanno suggerito ai vari legislatori un posizionamento sbagliato.

Poco prima, il Ministro Francese per l’Innovazione Digitale, Axelle Lemaire, aveva menzionato un rapporto di Goldman Sachs che evidenziava una elevata quota di mercato del credito persa in Francia proprio dalle banche in favore delle piattaforme di lending crowdfunding. Ciò nonostante il fondatore di ECN si è detto convinto che non ci siano attività lobbistiche del mondo bancario dietro i ritardi della Commissione Europea o le norme che hanno malposizionato l’equity crowdfunding, associandolo quasi esclusivamente alle start-up – le aziende più rischiose in assoluto e quindi difficilmente finanziabili – o consentendone uno sviluppo esclusivamente nazionale, contrastando le operazioni transfrontaliere.

Negli Stati Uniti, invece, nessuno ha dubbi sulla tesi sostenuta da Wilcox, e cioè che il crowdfunding è proprio uno strumento di rottura con il mondo bancario e le sue diseconomie e inadeguatezze. La SEC ha accumulato ormai tre anni di ritardo nell’attuazione della parte del JOBS Act che consente l’equity crowdfunding agli investitori retail; ad oggi l’equity crowdfunding è consentito liberamente ai soli c.d. investitori accreditati, dotati di requisiti reddituali e patrimoniali molto elevati, una élite corrispondente a circa il 3% della popolazione americana; dallo scorso giugno, l’attuazione del Titolo IV del JOBS Act, con il Regolamento A+, ha reso possibile gli investimenti online anche per gli investitori retail, ma esclusivamente a fronte di una procedura burocratica complessa e costosa (circa 100.000 dollari solo in adempimenti legali) che non sarà prevedibilmente molto utilizzata. In USA non è un segreto che i principali oppositori dell’equity crowdfunding sono proprio gli esponenti della comunità finanziaria.

* Alessandro Maria Lerro, avvocato, è presidente dell’Associazione Italiana Equity Crowdfunding

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