Dunque, da venerdi 20 gennaio gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente, e sarebbe stato bene scrivere un pezzo su questo, in particolare su cosa ci si possa aspettare dal discorso inaugurale durante il quale, si presume, il nuovo presidente farà annunci di indirizzo politico in tema di economia, integrazione, alleanze internazionali, ecc. Cosa aspettarsi? In particolare, che cosa aspettarsi sul piano dei rapporti economici internazionali, delle alleanze, dei compromessi? Ma questo pezzo deve uscire giovedi 19, e quindi debbo scrivere di avvenimenti rilevanti ‘in preparazione’ dell’insediamento.
Per fortuna martedi 17 la primo ministro del Regno Unito ha presentato pubblicamente le sue idee su come ella intenda il Brexit, così che da pensare ne abbiamo. Dico che ‘per fortuna’ Theresa May ha scelto il giorno 17, perché ella ha chiarito alcuni dei tanti quesiti che avevamo su cosa intendesse per ‘Brexit’, il che si incastra bene con quello che il presidente eletto US ha detto proprio in questi giorni su Brexit ed UE. Si vedrà come questa terza settimana di gennaio 2017 rappresenti una settimana-spartiacque nel modo in cui ci eravamo abituati a funzionare a livello geopolitico. And it doesn’t look good to me.
Regno Unito. Lunedi 16 Bloomberg ci fa sapere che i mercati sono particolarmente nervosi a causa del fatto che per l’indomani, martedì 17, è stato annunciato un discorso di Theresa May sulla strategia brexit ma, cosa in effetti mai sentita, Downing Street si è rifiutata di annunciare l’ora a cui ciò avverrà. Sia chi si occupa di strategia di investimento che i traders è (giustamente) preoccupato per questa incertezza perché, come ha detto uno di loro, è un avvenimento importante, e uno deve sapere a che ora deve trovarsi al proprio tavolo di lavoro. Lunedi 16 è anche giornata di nervosismo sul mercato delle valute, e la sterlina balla attorno a 1,20$, prezzo a cui è scesa dall’1,24$ del 5 gennaio, ed ha continuato a scendere da quando la May stessa ha detto esplicitamente che ha in mente un’uscita dura, radicale (il giorno 9 chi scrive twittò una nota in cui affermava che “The harder the exit, the harder the fall”: vedremo nei mesi e negli anni se ci avrà preso).
Stati Uniti. Lunedi 16 Associated Press riporta due affermazioni importanti del presidente eletto US: 1. che la decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea “finirà per dimostrarsi una gran cosa”, e 2. che l’Unione Europea continuerà a perdere paesi membri. Queste sono proposizioni di peso enorme, ovviamente: la prima lo è perché esprime un apprezzamento positivo sulla scelta del Regno Unito e lascia intendere un atteggiamento simpatetico verso il paese che abbandona l’Unione; la seconda perché afferma che la brexit sarà solo l’inizio di un processo di dissoluzione dell’UE. Insieme, le due proposizioni possono essere interpretate, e lo sono state, come la posizione del presidente eletto in politica internazionale. Nonostante nell’intervista appena citata il presidente eletto affermi che un eventuale fallimento della UE lo lascerebbe indifferente, cosa peraltro di una gravità enorme e indicatore del fatto che gli US non sarebbero disposti ad agire per l’unità dell’Unione, il Financial Times riporta questa frase: ”You look at the European Union and it’s Germany. Basically a vehicle for Germany. That’s why I thought the UK was so smart in getting out”. E aggiunge, nella stessa intervista riferendosi ad un conseguente ‘deal’ tra US e Russia, che gli Stati Uniti “…are going to work very hard to get it done quickly and done properly. Good for both sides.”
A questo punto il palcoscenico è pronto, poiché: 1. May ha fatto sapere che ormai la scelta è per una brexit come la vuole UKIP, da duri e puri; e 2. Trump ha fatto sapere che non ritiene strategica non solo la compattezza dell’UE, ma neanche la sua esistenza; infine, 3. Trump ha rassicurato May che gli Stati Uniti sono pronti a ‘fare un deal’ con lei, assegnandole un ruolo sostanzialmente più importante di quello che avrebbe avuto se fosse rimasta nell’Unione. E infatti…
Martedi 17. …May pronuncia il suo discorso. Un discorso intelligente, nel quale addossa all’appartenenza all’UE la responsabilità di sostanzialmente tutti i mali nazionali. Discorso Intelligente, pieno di tutte quelle cose belle che dicono i politici in campagna elettorale: lavoro per tutti i cittadini GB, controllo dei flussi di merci, servizi e soprattutto persone (non ricordo di aver sentito promesse sui movimenti di capitale), istruzione, assistenza sanitaria e benessere per tutti (i residenti), eccetera. E come si raggiunge tutto questo? Facile, perché la pm coglie l’importanza del fatto che non ha bisogno di dividere la cittadinanza tra maggioranza e opposizione, essendo il nemico esterno, e non interno, così che il benessere ritrovato sarà per tutti, perché esso era stato sottratto a tutti per via dell’appartenenza ad una Unione Europea che si è rivelata un partner inadeguato per un Regno Unito che avrebbe potuto crescere, e crescerà, ben al di sopra di quanto abbia potuto fare.
Alcune osservazioni a caldo, e non un ragionamento organico, dunque.
1. Preoccupato, qualcuno (Paul Mason, @PaulMasonnews) ha definito il discorso di May “fuck you, European Union”;
2. The Times ha messo in evidenza le minacce della May verso l’UE: “Give us a fair deal or you’ll be crushed”;
3. il Financial Times, tra i tanti pezzi che dedica al discorso, ne pubblica uno in cui presenta le magnifiche sorti e progressive che attendono il RU una volta libero dal fardello del rapporto con l’UE.
Insomma, un discorso durissimo, in cui la May ha fatto propria la più dura di tutte le interpretazioni possibili del voto dello scorso giugno, senza nulla concedere a quel 48% di suoi concittadini che si opposero alla prospettiva di brexit. Discorso durissimo conseguente anche all’incoraggiamento del presidente eletto degli SU, come ho mostrato sopra. Un discorso ottimista. Un discorso che mi ricorda qualcuno:
[…] Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.
Konstantinos Kavafis, Aspettando i barbari
E intanto, a Davos, il signor Xi spiega che il protezionismo fa male a tutti e che la causa delle crisi non è la globalizzazione ma le disparità nella distribuzione del reddito……