“Il valore aggiunto del mio libro è che nasce dalla mia esperienza. L’esperienza di un uomo che ha gestito per anni, imparando sul campo e a volte aggirando qualche regola, iniziative di innovazione e politiche digitali, ma senza mai smettere di alzare l’asticella”.
Con queste parole Massimo Canducci, Chief Innovation Officer del gruppo Engineering e docente universitario, inizia a parlarmi del suo nuovo libro “Vite aumentate. Le tecnologie e il futuro che ci aspetta”.
Caro Canducci, devo dirle che questo è lo stesso atteggiamento che ho sempre avuto anch’io, sia a proposito della comunicazione politica sia nel corso della mia vita parlamentare. Ora comprendo meglio il punto 11 del “Manifesto per il futuro” che chiude il libro: “Studiamo e leggiamo tanto”…
“Come scrivo nel libro, anche se “il tempo è sempre troppo poco, un professionista che non studia con costanza è come un’azienda che non innova.”
Che fine facciano questo tipo di aziende è purtroppo noto…Tornando al libro, mi sembra sia una sorta di “piccola” e sintetica enciclopedia dell’innovazione. Corretto?
“Se la vuole mettere così, questa è in effetti una possibile chiave di lettura. Ho cercato di fornire delle indicazioni utili per chi vuol sapere ed orientarsi di fronte al mare di innovazione che sta impattando sulle nostre vite, mettendole in discussione e insieme voglio ragionare sull’impatto e gli sviluppi attuali che esse hanno e potranno avere, non solo in Italia. È certamente un libro per chi vuol riflettere e immaginare il futuro”
A proposito di riflessione, vediamo insieme alcuni spunti del libro, naturalmente senza la pretesa di esaurirli tutti, perché ci servirebbe per l’appunto un libro intero per farlo…
“…e per questo l’ho scritto.”
…esatto. Ho visto con piacere, da accanito sostenitore della tecnologia solidale, che lei parla di accessibilità, di inclusività e di disabilità.
“È evidente a tutti che le tecnologie emergenti saranno utilissime per il superamento di diversi tipi di disabilità. Le tecnologie esponenziali consentiranno alle persone di recuperare in tutto o in parte alcune delle abilità perse. Pensiamo alle potenzialità che hanno i wearable, gli strumenti indossabili, così come le varie app e piattaforme. Naturalmente serve però un salto culturale, che si realizza attraverso una metodologia rigorosa di progettazione degli ecosistemi digitali e delle piattaforme che le renda nativamente accessibili. Tutto questo rientra peraltro nell’ambito della sostenibilità sociale.”
“Purtroppo si tende, per così dire, a vedere la sostenibilità a una sola dimensione, quella ambientale. Invece essa ha anche una dimensione economica e una sociale…”
La sostenibilità ambientale è nota, di quella sociale abbiamo dato un esempio a proposito dell’accessibilità. Cosa pensa riguardo la sostenibilità economica?
“La sostenibilità economica è l’utilizzo di strategie che consentano di impiegare in modo ottimale le risorse esistenti, per ottenere benefici economici nel medio e lungo periodo, affinché l’azienda sia efficiente e profittevole. Le aziende non possono non considerare come prioritari gli aspetti economici.”
Se dovesse indicare con una sola parola un fil rouge, un filo rosso che tiene insieme le varie forme di sostenibilità, quale userebbe?
“Il fil rouge è contenuto nella parola responsabilità. Credo che l’ecosistema in cui ci muoviamo oggi abbia diffuso le possibilità di aggregazione e che i “colpevoli” di certi atteggiamenti non siano i mezzi, ma la sostanza delle scelte politiche sociali e individuali. Per esercitare la responsabilità servono cultura, conoscenza, saggezza e moderazione, più che regole, che pure sono necessarie ma anche molto difficili da mettere a punto su scala globale.”
Saltiamo di palo in frasca, operazione che il libro consente perché tratta di tutto quanto attiene alla tecnologia. A proposito del modo di accedere a contenuti e notizie, in un paragrafo lei afferma che stiamo andando verso il superamento delle fake news…
“Nessuna realtà o opinione è assoluta, sui social e nell’infosfera. Se davvero ha un minimo di fondatezza, ogni opinione, ogni idea deve poter essere discussa, in modo trasparente e con criteri ragionevoli e comuni…”
…e fin qui ci siamo…
“…anche perché algoritmi di intelligenza artificiale sempre più evoluti consentiranno di individuare con sempre maggior precisione notizie false e inventate, ma non si arriverà mai alla perfezione.”
Chiamare in causa l’algoritmo obbliga a parlare del potere delle piattaforme di decidere che cosa noi vediamo…
“La libertà di espressione individuale e collettiva va sempre tutelata e vanno definite le condizioni di trasparenza ed equilibrio sia per chi interviene (utente, cliente, cittadino, parte politica) sia per chi offre un servizio globale, che è comunque un servizio “critico” perché acquisisce un “peso” e potere senza precedenti. Ho visto che anche lei ne parla nel suo ultimo libro…”
Sì. Propongo alcune soluzioni immediate, che passano dall’accordo tra Unione europea e grandi piattaforme.
“Anche i grandi debbono regolarsi con trasparenza (anche per resistere a crisi interne di business), accettare e concertare regole con spirito di collaborazione. Occorre governare la questione se possibile e dove possibile “insieme”. Qualunque regola, per i potenti e per ciascuno di noi, può essere efficace solo se costruita “insieme” a chi (pubblico o privato) “ospita” e influenza il discorso pubblico. Questa garanzia mobile, multidimensionale e concertata, è l’unica evolutiva e funzionante per i sostenitori dei sacrosanti principi di libertà.”
La libertà si gioca sempre dentro una relazione e quindi all’interno di una comunità. Grazie allo sviluppo continuo dell’intelligenza artificiale andremo ragionevolmente sempre più verso una società dell’on-demand e del “su misura”. Questo impatta sul concetto di comunità? Oppure lo disaggrega e lo riaggrega in nuove forme?
“Anche per l’intelligenza artificiale, già largamente inserita nelle nostre vite, la vera sfida è la “trasparenza di tutto” e la crescita di una ri-alfabetizzazione critica. Vale a dire, dobbiamo chiedere con forza che chi produce algoritmi che impattano sulle nostre vite ci dica tutto sul modo in cui essi vengono costruiti e sul modo in cui imparano.”
Siamo alla fine. Non le sembra che in fondo noi viviamo già “Vite aumentate”? Non crede che in realtà il futuro sia già presente?
“Le rispondo con le parole finali del libro. La cosa più bella non è tanto provare a immaginare il futuro, la cosa più bella è provare a costruirlo, ma non ci deve interessare un futuro qualunque, ci deve interessare un futuro in cui il mondo sia migliore. Se non stiamo costruendo un mondo migliore, allora non stiamo innovando per niente.”
Come ha detto il direttore di Economyup Giovanni Iozzia, “la tecnologia o è solidale o non è.”.