TECNOLOGIA SOLIDALE

L’eutanasia non c’entra, Alfie aveva diritto a combattere la sua battaglia per la vita

Alfie Evans, il bambino britannico affetto da una gravissima malattia neurodegenerativa, lotta da settimane tra la vita e la morte. I medici hanno deciso di interrompere il supporto artificiale delle macchine e ora il piccolo rischia di non farcela. Ma i genitori chiedono di poterlo curare in un altro Paese

Pubblicato il 25 Apr 2018

Alfie Evans
Alfie Evans è morto alle 2.30 nella notte tra il 27 e il 28 aprile. I genitori hanno dato l’annuncio con un post su Facebook. Ecco una riflessione di Antonio Palmieri prima della morte del piccolo.
Immagina che tuo figlio, un bimbo di 23 mesi, sia gravemente malato. Immagina che i medici e i giudici del tuo Paese dicano che la sua vita è “futile” e che lui non va più curato. Deve morire, anche se tu non sei d’accordo.
Immagina che ci siano in un altro Paese due ospedali specializzati in malattie dei bambini disposti a prendersene cura, spese comprese.
Immagina che nonostante questo medici e giudici dicano ancora che il tuo bimbo deve morire e che la tua volontà di genitore non conta nulla.
Questa è la vicenda di Alfie Evans e dei suoi due coraggiosi giovani genitori e accade oggi in Gran Bretagna.
Come vedi, questa volta non parlo di startup, di tecnologia che migliora la vita, di bandi di finanziamento, di eventi pubblici legati alla tecnologia “buona”. Eppure anche questa a suo modo è una vicenda di tecnologia solidale, di quelle che da oltre tre anni racconto in questo blog: le macchine aiutano Alfie a respirare e gli ospedali Bambin Gesù di Roma e Gaslini di Genova si sono messi gratuitamente a disposizione per cercare di trovare una cura per Alfie.
Questa però è una vicenda di “tecnologia solidale” che evoca situazioni che vanno molto al di là:
1) uno Stato si arroga il potere di morte su un bambino solo perché ammalato;
2) i giudici sottraggono il bimbo alla tutela dei genitori non perché abbiano commesso qualche gravissima colpa o siano inadempienti, ma perché non si arrendono a che l’assistenza vitale sia sospesa.
3) dei giudici di uno Stato definiscono “futile” la vita di un bambino malato e peraltro senza nemmeno una diagnosi certa.
Qui non si tratta di essere a favore o contro l’eutanasia: in questo caso peraltro non la chiede il malato né i suoi legittimi tutori, i genitori.
Qui è in gioco ben altro. La battaglia dei genitori per la vita di Alfie è simbolo del fatto che lo Stato ha dei confini che non può superare, perché la persona e la sua libertà vengono prima.
I genitori di Alfie chiedono solo di avere la possibilità di un altro tentativo per salvare la vita al loro bambino, in un altro ospedale, in un altro Paese. Nessuno può impedire a un genitore di prendersi cura del proprio figlio, meno che mai in nome di un “miglior interesse” del bambino stabilito da ospedali e tribunali che si arrogano il diritto di decidere se una vita non è  più degna e dunque “inutile”.
Sono in gioco vita e libertà. Per questo, tutti insieme, dobbiamo dire, Forza Alfie!

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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