Downround. È lo spettro di ogni startup. È forse peggio che chiudere l’azienda.
Ma facciamo un passo indietro.
La via aurea di una startup è quella rappresentata sotto. Si basa su diversi round di finanziamento, guidati da nuovi lead investors, tutti a valutazioni crescenti (tecnicamente definiti “uprounds”), fino alla exit (quotazione o M&A). “Up and up”, come direbbero i Coldplay.
Il ciclo di vita di una startup e il downround
Peccato che succeda per meno del 5-10% dei casi. Perché nella realtà la gran parte delle startup (e scaleup) muore durante il viaggio (“crash and burn”) e un gran numero si trascina, più o meno a stento. Attraverso estensioni di round precedenti (“bridge”) da convertire in round futuri o round a valutazioni inferiori a quelli precedenti. I cosiddetti “downround”.
Il downround trasmette un brutto segnale al mercato dei VC (da quel momento la startup è percepita come problematica, cosa che rende complessa la raccolta successiva di capitali, che, come noto, è un percorso iperselettivo che coinvolge solo i migliori) e massacra le possibilità di guadagno alla exit dei founder e dei dipendenti (visto che genera una – più o meno ampia – dilution).
Downround, la startup sopravvive ma la vita diventa dura
L’azienda sopravvive (good news) ma il cammino successivo sarà impervio con un team fortemente demotivato. Quindi molto dura. Nella migliore delle ipotesi si aprono le porte per una “fire sales”, ossia la cessione dell’azienda ad un prezzo che difficilmente ripagherà gli investitori.
I dati di Avolta sembrano suggerire che stia succedendo proprio questo: nel primo semestre di quest’anno sono state registrate 201 exits in Francia, 10% in più dello stesso periodo dello scorso anno. Tuttavia il valore totale delle acquisizioni con valori “disclosed” è 738 milioni, 71% in meno (e il valore medio delle transazioni è sceso da 40 a 10 milioni). Certamente meglio che chiudere (perché la speranza è l’ultima a morire) ma si apre un percorso che, nella maggior parte dei casi, porta a distruzione di valore.
Il downround di Getir
Per comprendere l’impatto dei downround, un caso recente (che ha fatto abbastanza rumore visto che riguardava un unicorno) è Getir, il campione turco del rapid grocery, che sta raccogliendo 500 milioni di dollari ad una valutazione di 2,5 miliardi. Il round è stato guidato da Mubadala che era uno dei precedenti investitori.
La notizia che potrebbe sembrare buona suona in realtà due/tre significativi campanelli d’allarme.
- Il primo (più una sirena che un campanello) è la valutazione: $2.5 billion è quasi l’80% meno della valutazione precedente data a Getir nel 2022 ($11.8 billion).
- Il secondo, come menzionato, è il fatto che il finanziamento proviene da investitori esistenti: segnale che l’azienda non risulta appetibile verso terzi e ha necessità immediata di cash. I precedenti investitori partecipano per cercare di salvare il salvabile degli investimenti fatti in precedenza.
- La situazione è aggravata dall’aver reso pubblica la valutazione (un bridge sotto forma di convertible avrebbe rinviato il problema di sbattere il mostro – la perdita di valore – in prima pagina).