Innovazione&Professioni

L’intelligenza (artificiale) degli avvocati (parte seconda)

Proviamo a immaginare un sistema che generi diritto e giustizia senza l’intervento dell’uomo. E anche le sue possibili applicazioni. Arriveremmo alla negazione del libero arbitrio. Decidere il livello di delega da dare al sistema spetta all’uomo. E alla sua capacità di costruire mulini a vento spinti dal vento dell’innovazione. Ma sempre dipendenti dall’azione umana

Pubblicato il 02 Nov 2016

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Luciano Quarta, avvocato amministrativista ed esperto di contenzioso tributario in Milano

Nello scorso intervento ci siamo lasciati, cercando di immaginare lo scenario di un sistema che genera diritto e giustizia senza l’intervento dell’uomo.

Proviamo ora immaginare possibili applicazioni e le implicazioni: il sistema stabilisce che stai evadendo il fisco o rileva che non hai pagato una rata dell’IVA? Automatico prelievo dal conto corrente di tasse ed imposte. Il sistema ti associa ad un crimine e ritiene che sia necessaria la tua messa in custodia? Automatica esecuzione degli ordini detentivi con la domotica di casa che ti chiude dentro fino all’arrivo delle forze dell’ordine, oppure, la vettura “self driving” che ti blocca a bordo e ti porta alla prima stazione di Polizia, che ti piaccia o no.

Un sistema “sigillato” da un punto di vista informatico. Completamente esente da corruzione o da errori grazie alla totale estromissione dell’elemento umano. Un sogno o un incubo? Al proposito mi vengono in mente alcune considerazioni.

Noi esseri umani siamo consapevoli del fatto che giustizia e diritto sono due concetti distinti, spesso distanti l’uno dall’altro: il primo è etico, sostanziale, e non si esaurisce nella mera conformità ad una regola, coinvolge l’attivazione di meccanismi emozionali, di empatia e di quell’insieme di attributi che concorrono a formare una cosa che non riusciamo a definire meglio che con il termine di “umanità”. Il secondo di questo due concetti è invece di natura formale, attiene ad un insieme di regole convenzionalmente accettate, e alla verifica della formale conformità delle condotte a queste regole.

Io aggiungerei che il diritto è strumentale e funzionale alla realizzazione della giustizia e che tutti quanti più o meno abbiamo consapevolezza del fatto che il diritto spesso non riesce a cogliere l’obiettivo di realizzare la giustizia. E quindi, che non sempre ciò che risulta formalmente conforme alle regole è necessariamente giusto.

È per questo che un sistema giuridico, nella sua accezione più ampia, è fatto di componenti e di attività in costante tensione, che perseguono lo scopo di avvicinarsi il più possibile all’obiettivo di fare convergere ciò che è formalmente legittimo con quello che si può definire sostanzialmente giusto. Un sistema elettromeccanico, tecnicamente potrebbe arrivare a fare altrettanto, prima o poi?

Ammettiamo provvisoriamente che possa e passiamo al secondo concetto: se accettassimo in blocco la possibilità del deferimento della produzione di norme e la loro esecuzione ad un sistema automatizzato che agisce al di fuori e al di là del controllo dell’uomo (non di un uomo, o di una élite di uomini, ma di molti uomini, tendenzialmente tutti, con appropriati sistemi suggeriti dalla scienza politica che spesso ci piace definire con l’appellativo “democratici”) avremmo di fatto rinunciato a qualcosa che per secoli l’umanità ha persino protetto dall’interferenza delle divinità: cioè il libero arbitrio.

E questo perché avremmo creato un sistema esperto (che quindi, progredisce con l’esperienza) che si crea le regole da solo, se le implementa e le attua, da un certo punto in poi, senza più la necessità di una mediazione umana.

L’uomo quindi diventerebbe indifferente, superfluo e forse persino di intralcio rispetto alle funzioni, e quindi agli scopi esistenziali di tale sistema.

E dunque, la palla torna al centro del campo: la decisione su quanto tutto ciò sia giusto e sul livello di delega che intendiamo conferire al sistema spetta e resta nella sfera di responsabilità dell’uomo, che deve essere in grado di capire quando si sta per raggiungere il punto di non ritorno.

Cioè l’arrivo ad un sistema rispetto alla cui esistenza è del tutto indipendente ed indifferente l’esistenza dell’uomo.

Ora, la mia idea, per quel che vale, è che il cambiamento vada cercato e accettato come un valore positivo, ma pur sempre gestito con la necessaria consapevolezza. Questo perché, anche se sono tra quelli che “quando soffia il vento del cambiamento” si buttano a costruire entusiasticamente mulini a vento, non vorrei arrivare ad un punto in cui i mulini a vento non abbiano più bisogno dell’uomo per esistere, poiché la loro esistenza è votata al bisogno di altri mulini a vento.

Ed infatti, se si arrivasse a questo, mi chiedo, servirebbero forse all’uomo simili mulini a vento?

* Luciano Quarta è avvocato amministrativista ed esperto di contenzioso tributario in Milano.

Componente della commissione Giustizia Tributaria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano

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