Un anno utile il 2017, per dirla con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma non certo brillante per l’innovazione in Italia. Le startup aumentano ma restano gracili, gli investimenti di capitale di rischio sulle nuove imprese sono ancora deboli anche perché, come un cane che si morde la coda, i ritorni sono assai incerti. In altre parole, nel cosiddetto ecosistema vengono immessi pochi soldi perché non produce risultati attraenti per chi dovrebbe rischiarli. Comprese le aziende che investono poco o nulla (il corporate venture capital è ancora embrionale in Italia) ma parlano tanto di open innovation le cui fasi di sviluppo, in occasione della presentazione dell’annuale survey degli Osservatori Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano, Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy, ha descritto così: forming (consapevolezza vaga e prime esplorazioni), storming (prime sperimentazioni), norming (progressiva strutturazione), performing (arrivano i risultati). Credo si possa dire tranquillamente che siamo ancora in piena “tempesta” e la “normalità” dell’open innovation sia ancora lontana.
Ma l’anno è stato utile e quando arriva a conclusione per iniziarne uno nuovo con slancio è molto meglio guardare che cosa di buono è accaduto piuttosto che fissarsi su che cosa manca. Ci sono fatti che si possono leggere come segnali che ci dicono quanto, nonostante limiti strutturali e resistenze culturali, le cose cambino o possano davvero cambiare. Eccone 3 che possiamo considerare benaugurali per il 2018.
1. La multinazionale lombarda che investe 6 milioni
sul robot-fattorino
Open innovation: Eldor investe 6 milioni su YAPE, il robot-fattorino
Probabilmente solo chi conosce bene l’industria dell’auto ha già sentito di Eldor, multinazionale lombarda (quasi 3mila dipendenti nel mondo) specializzata in componenti (sistemi di accensione, ABS, centraline) anche per veicoli ibridi elettrici. Nel 2017 ha prima “studiato” e ha poi investito su una startup “allevata” da e-Novia che sta testando su strada un robot-fattorino. Eccoci di fronte a un’azienda tradizionale (con 45 anni di storia) che opera in un settore in profonda trasformazione e che decide di esplorare con decisione (6 milioni non sono pochi…) i sentieri ancora incerti proposti dall’intelligenza artificiale e lo fa investendo su una startup. Un caso virtuoso con, da una parte, un centro di innovazione creativa che propone una soluzione estrema (il robot-fattorino) e, dall’altra, una grande azienda disposta a mettersi in gioco su campi nuovi per esplorare le opportunità della digital tranformation.
Il messaggio è chiaro: l’innovazione si può fare, molte proposte sono sul mercato (ma bisogna volerle e sapere trovare), ma è necessario mettersi in gioco e rischiare soldi veri. La vera innovazione non è mai gratuita.
2. Le startup “manifatturiere” che trovano clienti e soldi
GreenRail, la startup dell’anno che ha ottenuto una commessa da 75 milioni di dollari
Nel 2017 certamente la manifattura italiana ha mostrato di aver sentito la scossa data dal piano Industria4.0, lanciato dal governo a fine 2016. È partito il rinnovamento degli impianti in molte fabbriche, grazie agli incentivi, ma soprattutto si sono accesi i riflettori su un patrimonio autentico del sistema economico italiano: l’industria manifatturiera, che in Europa (non viene mai ricordato abbastanza) è seconda solo alla Germania. Se si muove la manifattura, grande può essere l’impatto sul Pil e sulla competitività, molto più di quanto non possano fare le imprese digitali pure. Interessante è il fatto che anche sul fronte nuova imprenditorialità stia emergendo un filone manifatturiero rilevante. Che cosa dice la notizia dell’importante commessa americana per GreeRrail? Che è possibile fare anche innovazione su prodotti davvero hard (le rotaie del treno), trovare clienti e crescere nonostante l’insensibilità dei venture capital ancora attirati solo dalle startup digitali di cui comprendono più facilmente la scalabilità.
Goliath, la fresatrice intelligente sbanca il crowdfunding: un milione di dollari in 45 giorni
Per fortuna ci sono canali alternativi di finanziamento, come dimostra lo straordinario successo di Springa che con il suo Goliath ha raccolto in crowdfunding su Kickstarter poco più di un milione di dollari. Per chi ancora non lo sapesse: Goliath è una fresa a controllo numerico che stravolge il funzionamento delle macchine tradizionali (non devi muore il materiale ma è lei che si muove sul materiale) e che ha già attirato l’interesse di molte imprese artigianale del distretto brianzolo del design.
Il segnale è positivo: fare innovazione nella manifattura non solo è possibile ma ti permette di trovare clienti e capitali. Forse è più difficile all’inizio, ma se c’è una vera innovazione, è ben protetta e si ha il supporto giusto i risultati arrivano. Messaggio collaterale: se un venture capitalist dice no, non scoraggiatevi. È molto più probabile che stia sbagliando lui e non che sia sbagliato il vostro progetto.
3. Le aziende pubbliche che si alleano per innovare
Enel e Ferrovie dello Stato si alleano per innovare energia e trasporti
Che la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione sia un requisito necessario per l’innovazione del Paese e lo sviluppo dell’imprenditoria è risaputo. Sul fronte “burocrazia” il Commissario Diego Piacentini nel suo primo anno di “servizio” ha avviato diversi processi che dovrebbero dare i risultati nel corso del 2018, se il rinnovo elettorale non scombinerà le carte in tavola. C’è, però, anche un fronte aziendale, cioè di quelle società a controllo pubblico, in molti casi strategiche per il Paese, che stanno avviando importanti iniziative di trasformazione, interna ed esterna. Ancora più sorprendente è se per farlo si alleano. È la scommessa di Enel e Ferrovie dello Stato. Enel è una multinazionale dell’energia che ha come primo azionista Enel il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che controlla al 100% le Ferrovie dello Stato.
Anche in questo caso il segnale è incoraggiante. La cross industry convergence è un’opportunità di crescita anche per quelle imprese un tempo definite parastatali e che ora sono spinte dalla trasformazione digitale a ripensare perimetri e modelli di business. Servirebbe una politica economica per sostenerle e orientarne gli sforzi con una visione generale di Sistema Italia. Ma questo è un altro discorso.