L’opinione che la futura competitività dei nostri Sistemi Regionali, e del Sistema Paese nel suo complesso, sia legata a filo doppio alla capacità di innovare, è oramai largamente condivisa. Tuttavia, pur a fronte di questa consapevolezza, le proposte che si leggono sembrano quasi far emergere diverse posizioni sul luogo in cui debba nascere il seme dell’innovazione: vi è chi sostiene che spetti alle grandi aziende, perché hanno le risorse finanziarie e raggiungono le economie di scala per far fronte ai costi dell’innovazione; chi sostiene che occorre puntare sulle PMI, perché rappresentano il substrato della nostra economia; chi sulle start-up innovative, perchè dotate di quella necessaria capacità di ideazione e flessibilità, che le rende luogo elettivo per generare discontinuità.
Ed intanto i dati macro-economici sono inesorabili. L’Innovation Union Scoreboard del 2013, predisposto dalla Commissione Europea, posiziona l’Italia ben lontana dai cosiddetti Innovations Leaders (Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia) ed anche dagli Innovation Followers (Gran Bretagna, Francia, così come Austria, Irlanda, Slovenia, Estonia e diversi altri Paesi). Agire su questi dati ovviamente richiede programmi ed interventi di lungo periodo. L’ipotesi di lavoro che si vuole avanzare è che un salto in avanti potrebbe essere compiuto se le aziende della tradizione italiana e le start-up innovative iniziassero strutturalmente a lavorare insieme.
Da un lato, sono oltre 1.000 le start-up innovative che in pochi mesi si sono iscritte negli appositi registri istituiti presso le Camere di Commercio. Ben 1.082 sono gli spin-off da ricerca, ovvero quel particolare tipo di nuove imprese nate negli Atenei per valorizzare i risultati ed i brevetti ottenuti nei laboratori e portarli al mercato (fonte: Netval, 2013). Aldilà delle statistiche, la nuova imprenditorialità innovativa, proposta spesso da giovani altamente skillati, è un fenomeno che va crescendo significativamente nelle nostre Regioni. Oramai ogni Regione italiana ha incubatori, business plan competition, che sono serbatoi di team con nuove idee e risultati.
Dall’altro lato, la struttura industriale italiana ha da sempre le sue fondamenta nella piccola e media azienda. In particolare, una recente indagine di Mediobanca ed Unioncamere sulle medie imprese italiane (novembre 2013) ha censito oltre 7.000 aziende con un fatturato tra i 15 ed i 330 milioni di Euro. Ben 9 su 10 di queste aziende opera su mercati esteri ed il 37,3% prevede per il 2013 un aumento del fatturato (dati calcolati su 3.600 aziende).
E se lavorassimo alla costruzione di collegamenti strutturati tra il mondo delle start-up e quello delle medie aziende? Innovazioni proposte da start-up e spin-off finalizzate all’industria meccanica, alimentare, del legno, della moda – per citare i settori tradizionali prevalenti – che magari non produrranno la futura Google o Facebook, ma potranno generare un fenomeno diffuso di imprenditorialità innovativa e di crescita nei territori.
7.000 medie aziende: potenziali investitori in start-up innovative? Le medie aziende dispongono di capitali per apportare risorse finanziarie nelle start-up, ed al contempo hanno modelli organizzativi e manageriali già operativi su scala internazionale. Managerialità e network molto utili alle giovani start-up. Al contempo, le migliaia tra start-up innovative e spin-off possono rappresentare ‘serre creative’ con team ed idee, in cui le medie aziende investono per diversificare in nuovi prodotti e servizi.
Laddove ancora scontiamo in Italia un lacuna in termini di volumi di venture capital disponile, potrebbe essere proprio la collaborazione tra start-up e medie aziende la via italiana per la crescita dell’ecosistema start-up.
Michele Petrone coordina le attività operative di BI CUBE, incubatore di Primo Miglio di Basilicata Innovazione (twitter: @micpet1977)