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Innovare o non innovare, non c’è provare: la necessità di andare oltre le metriche

L’innovazione disruptive non può essere misurata in itinere. Ma se un’azienda vuole avere un futuro, non può farne a meno, anche se è difficile da comprendere con le metriche tradizionali. Come dice Yoda in “Guerre Stellari”: “Fare o non fare. Non c’è provare”

Pubblicato il 14 Giu 2022

Photo by Jonathan Cooper on Unsplash

Da una ricerca di McKinsey i cosiddetti “committed innovators“ sono capaci di generare il doppio del fatturato da nuovi business rispetto alle altre aziende (la percentuale di fatturato generata da prodotti/servizi lanciati negli ultimi tre anni è il 38% rispetto al valore medio 19%) e hanno quattro volte la probabilità di evolvere il proprio posizionamento all’interno della catena del valore.

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Ma cosa rende queste aziende “committed innovators“?

Una cosa. La loro determinazione strategica di andare (nei fatti, non a parole) oltre il core business. Questa è misurata dalla capacità di investire prioritariamente (55%) su progetti di innovazione che non riguardano il core e per una percentuale importante (25%) su progetti breakthrough, i cui risultati non sono per definizione misurabili. E quest’ultima cosa richiede visione e determinazione.

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Visione e determinazione quindi.

Questo mese, parlando con un CEO di una grande azienda nell’ambito di un progetto di ridefinizione organizzativa volta ad introdurre “ambidexterity”, ci siamo fermati a ragionare su uno dei punti chiave per rendere credibile la sterzata strategica in corso verso l’innovazione: la rimodellazione degli incentivi con una parte del MBO (di tutti e con quote pesanti per il top management) legata al nuovo e non più al core.

L’obiezione del CEO – razionalmente valida – è stata: “con che indicatori misurare la capacità di generare innovazione e nuovi business? I miei direttori mi sparano se lego una parte della loro retribuzione a obiettivi difficilmente misurabili”.

Per una parte di innovazione (Horizon 1) ci sono KPIs ormai solidi e strutturati. Per la parte ad orizzonte lungo (H2 e H3) ci sono proxy utilizzabili ma nulla di più. La realtà è che l’innovazione disruptive non può essere misurata in itinere. Però è quella che alla fine salva l’azienda, la rende committed innovator.

E, come ho detto in un raro momento di lucidità in una intervista su Sifted Financial Times: “The ultimate return on innovation investment is survival. Doing these things allows a company to be alive in 2030 or 2040. If they don’t innovate, they won’t be”.

Quindi. Se un’azienda vuole avere un futuro non c’è alternativa al fare, anche se è difficile da comprendere con le metriche tradizionali. D’altronde come dice il ben più saggio Yoda in “Guerre Stellari”: ”Fare o non fare, non c’è provare”.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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