In Europa arrivano i capitali (ma non in Italia)

Record di raccolta per i fondi di venture capital europei nel secondo trimestre 2015: toccata quota 2 miliardi di euro di raccolta. Nel rapporto Dow Jones il nostro Paese neanche compare…

Pubblicato il 23 Set 2015

Tra aprile e giugno di quest’anno i venture capital europei hanno raccolto 2 miliardi di euro. Si tratta di una cifra importante, il doppio rispetto al trimestre precedente e il 30% in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Capitali freschi giungono in Europa a sostegno delle startup nate nel vecchio continente, capitali che arrivano dall’America del nord e dal Medio oriente soprattutto, capitali che vanno ovunque tranne che in Italia.

I numeri sono quelli riportati dal Venture Capital Report di DowJones VentureSource e sono assolutamente promettenti (clicca qui per leggere la versione integrale). Secondo il Wall Street Journal che ha commentato la ricerca appena pubblicata a fine luglio, è vero che si è ancora lontani dal picco del 2000 quando i VC europei raccolsero, sempre nel secondo trimestre, 3,5 miliardi di euro, e da quanto avviene in America dove sempre nel Q2 2015 sono stati raccolti quasi 12 miliardi di euro, ma è anche vero che il flusso di capitali sta aumentando e ciò indica che la fiducia verso la capacità dell’Europa di creare aziende di grande rilievo e opportunità per gli investitori sta aumentando sia presso gli investitori interni sia presso quelli esteri.

Questa fiducia è determinata sia dal successo di startup nate dai più solidi ecosistemi europei e confermata anche da grossi round di finanziamento annunciati di recente come quello della francese BlaBlaCar (che ha annunciato di avere raccolto 200 milioni di dollari portando a 300milioni la sua raccolta complessiva e a 1,4 miliardi di euro la sua valutazione), sia dal fatto che nell’ultimo anno sono nati nuovi VC in Europa, sempre Wsj cita Felix Capital, Mosaic Venture e le operazioni europee di Google Venture come le nuove realtà più significative ma anche il nuovo fondo da quasi 300 milioni di euro supportato dalle cinque principali banche britanniche che si chiama UK Business Growth Fund.

Il campione tra i VC europei in termini di raccolta è stato Index Venture che ha sede a Ginevra con circa 650 milioni di euro, vale a dire circa il 30% del totale, al secondo posto Isis innovation di Oxford con quasi 284 milioni di euro, 150 milioni sono andati all’European investment fund che ha diritto lussemburghese, Felix Capital di Londra ha raccolto quasi 110 milioni, Ik Investment partner, sempre di Londra, altri 100milioni. Sempre nel periodo oggetto del report DowJones indica anche le cinque principali operazioni di finanziamento che sono risultate: la svedese Spotify Technology (488 milioni di euro), la lussemburghese Global Fashion Group (150 milioni), la britannica Funding Circle (139 milioni), la tedesca Foodpanda (89 milioni) e l’olandese Am-Pharma unico caso di investimento corporate con l’intervento di Pfizer da 78 milioni di euro.

Più di recente fanno segnare altre indicazioni positive l’annuncio del fondo svizzero-tedesco (con sede a St.Gallen e Berlino) B-to-v partners che ha reso noto di avere fatto un round da 100milioni di euro complessivi anche del valore generato dalla partnership con una rete di oltre 200 business angel raddoppiando così il suo asset under management che ora supera i 200 milioni di euro (riporta Tech.Eu http://tech.eu/news/b-to-v-partners-third-fund/), e l’annuncio dell’italiana Innogest Sgr che ha reso noto di avere chiuso il suo fondo Innogest Capital II a quota 85 milioni di euro circa.

Numeri in crescita quindi ma nell’economia del venture capitale del vecchio continente l’Italia è ancora troppo, troppo indietro. Nel rapporto di DowJones nemmeno compare (è indicata come quarta per numero di deal al 6% dopo Uk con il 25%, Francia 23%, Germania 13%, ma i primi quattro Paesi per raccolta sono Uk con il 21%, Svezia con il 19%, Germania con il 17%, Francia con il 15%), di quei due miliardi raccolti in un trimestre in Italia è arrivato quasi nulla.

E’ comprensibile che i fondi e i gruppi di business angel italiani si siano messi in coda per una fetta dei 50 milioni di euro (spalmanti in 5/7 anni) del venture capital di Stato che opera sotto il cappello di Invitalia (e che si spera eroghi i soldi in tempi più brevi rispetto a quelli che gli sono necessari per rispondere a semplici domande: l’articolo pubblicato da Startupbusiness lo scorso 16 luglio è ancora in attesa delle risposte da parte di Invitalia) ma appare chiaro che in confronto al movimento che c’è in Europa si tratta di spiccioli e che la vera crescita si avrebbe se invece di destinare risorse alla creazione di VC di Stato con tutti i costi e le implicazioni che porta, si attuassero azioni concrete e fattive al fine di aiutare i VC italiani a conquistare l’Europa e i fondi che in Europa stanno arrivando dando loro una struttura di supporto che gli consenta di operare con maggiore flessibilità e certezza burocratica e istituzionale e quindi poter competere ad armi pari con i VC del resto d’Europa. Ciò perché come direbbero, per enfatizzare il momento favorevole, gli affezionati agli slogan populisti: “se non ora, quando?” e perché se non ci vanno i VC italiani ci vanno le startup italiane che così ancora più rapidamente abbandonano il loro Paese d’origine portando fuori risorse, opportunità, competenze, posti di lavoro.

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