Nel 1966 l’Italia era il terzo produttore al mondo, dopo Usa e Gran Bretagna, di energia nucleare. In Italia c’erano i migliori ingegneri e scienziati e le centrali nucleari erano le più avanzate sul globo. L’Italia era una potenza nella ricerca, nello sviluppo e nell’utilizzo dell’energia nucleare per usi civili. Questa posizione di leadership finì repentinamente quando nel 1987 il referendum sul nucleare vide il popolo italiano decidere per il totale abbandono di questo filone di ricerca, sviluppo e produzione di energia. Le centrali sono state smantellate, le scorie ancora esistono e sono un costo senza più benefici, la ricerca italiana è stata amputata e oggi il nostro Paese importa energia nucleare dall’estero, da Paesi come la Francia e la Svizzera che hanno centrali nucleari a un passo dai confini italiani, perfino la Slovenia ha un impianto per la produzione di energia dall’atomo.
La storia dell’energia nucleare italiana potrebbe ora ripetersi con modalità molto simili e altrettanto dannose. Al centro della questione questa volta ci sono gli Ogm, che l’Italia, per mano dei ministri Maurizio Martina (agricoltura), Beatrice Lorenzin (salute), Gian Luca Galletti (ambiente) dell’attuale governo, vuole bandire dal territorio nazionale in opposizione con quanto indicato dalla Commissione Ue. Ora in molti si sentiranno sollevati da tale notizia certi che sulle loro tavole nessun alimento Ogm troverà mai spazio, ma ci sono aspetti che vanno considerati per comprendere il quadro. Intanto l’Italia chiede che il territorio nazionale sia scevro da coltivazioni Ogm ma non impedisce le importazioni di alimenti geneticamente modificati, si tratta soprattutto di mangimi per animali che poi, loro sì, finiscono sulle nostre tavole. E poi impedendo la coltivazione di Ogm si impedisce anche la ricerca lasciando così in mano ad altre economie e soprattutto alle tanto odiate multinazionali il compito di lavorare in tal senso drenando competenze e opportunità per i ricercatori italiani che, ancora una volta, andranno all’estero così come fu per gli ingegneri e gli scienziati del nucleare. Se si vuole conoscere bene qualcosa è giusto fare ricerca su di esso, anzi è l’unica strada possibile, altrimenti si assume l’atteggiamento conservativo di chiusura totale, di blocco a prescindere che, con il tempo, così come ha dimostrato la scelta sul nucleare, si rivelerà un errore madornale. Ancora una volta chi governa l’Italia mostra tutte le sue paure verso il nuovo, verso la ricerca, verso le possibilità che le nuove tecnologie aprono. C’è chi ha definito la scelta dei ministri italiani coraggiosa quando invece è sintomo di una paura fottuta.
Fare ricerca sugli Ogm non è necessariamente una minaccia né per la salute dei cittadini né per il modello agricolo tradizionale del made in Italy, sarebbe quindi auspicabile che questo governo avesse un approccio un po’ meno talebano nei confronti dell’argomento e lasciasse la porta aperta alle coltivazioni per scopi di ricerca. Sarebbe un compromesso accettabile e non chiuderebbe le porte al futuro.
Ciò soprattutto in un Paese come l’Italia che potrebbe fare del food-tech e dell’agrifood-tech suoi punti di forza ed eccellenze a livello globale. Oggi il food-tech fa notizia soprattutto per le startup che si occupano di quello che potremmo definire come l’ultimo miglio della catena del cibo: la distribuzione, il delivery, la condivisione sia in ottica social sia sharing economy, ma la vera opportunità, la vera sfida è nel portare innovazione nella filiera della produzione, in tutto ciò che sta prima dell’ultimo miglio. Precision farming, riduzione dei fitofarmaci, tracciamento della filiera, innalzamento della qualità, filiere corte, sono alcuni degli aspetti sui quali si può e si deve lavorare. Ed è su questi aspetti che si giocano le sfide più interessanti e vi sono le maggiori opportunità ed è perciò che chiudere la porta agli Ogm, le cui coltivazioni, va ricordato, fanno uso quasi nullo di prodotti chimici che invece in abbondanza si applicano alle culture tradizionali, significa amputare la ricerca.
Oggi in Italia già ci sono eccellenze. Ci sono aziende che hanno capito che per fare il prodotto di qualità bisogna partire dai campi come per esempio hanno fatto il gelato Grom e la birra Baladin. E anche qui ci viene in aiuto la cronaca, è infatti di questi giorni l’annuncio che Grom è stata acquisita da Unilever, il colosso anglo-olandese che alla voce gelati ha già marchi come, per esempio, Algida. Anche qui polemiche a non finire sullo strapotere delle multinazionali, sul fatto che le aziende bisogna farle crescere e non vendere, magari sollevate da quegli stessi soggetti che poi ai convegni sulle startup affermano che in Italia mancano le exit. Ecco Grom è una exit, ed è una exit internazionale perché il nanismo dell’ecosistema italiano (di cui si è parlato nel post precedente) non è oggi in grado di compiere operazioni simili (e per onore di cronaca va ricordato che anche prima della exit Grom aveva già investitori internazionali oltre che italiani).
Il 9 ottobre a San Vito dei Normanni, vicino Brindisi si svolge IFood, una giornata internazionale che fa il punto sull’innovazione in ambito agro-alimentare e chiama anche a raccolta le startup che operano nel settore, si tratta di un evento che coinvolge soprattutto Paesi dell’area mediterranea che rappresenta un’altra chiave di lettura per il futuro, ne parleremo in questo blog prossimamente.