Il design è morto, viva il design collaborativo

Luigi Ferrara, direttore della School of Design del George Brown College, dice: «Il design in senso classico è finito, i team progettuali saranno composti da professionisti, studenti e cittadini. Che dovranno progettare gli effetti, non più prodotti o servizi»

Pubblicato il 30 Giu 2016

Il professor Luigi Ferrara, canadese, direttore della School of Design del George Brown College di Toronto e del collegato Institute without Boundaries, è intervenuto ieri presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano all’interno del ciclo di incontri MeetTheMediaGuru durante la XXI Triennale.

Il titolo del suo intervento: “DESIGN AFTER DESIGN. Creating a Wisdom Economy through generative & collaborative design practice”. Come a dire che il design in senso classico è finito e si passa – si è già passati, sostiene Ferrara – alla fase in cui il minimo team progettuale che si ha da aggregare per cercare di essere efficaci consta di almeno tre categorie di persone: professionisti, studenti, cittadini. A ribadire che lo sguardo è ormai oltre i tecnicismi e le barriere baronal-disciplinari, Ferrara ha spiegato che “nel futuro ciò che dobbiamo progettare sono gli effetti, non i prodotti né i servizi. Dobbiamo superare le specializzazioni, dobbiamo superare il design come l’abbiamo concepito finora”.

La chiave, per Ferrara, è nell’approccio collaborativo che dovrebbe portare alla maturità quella fase che lui chiama Wisdom Economy, economia della saggezza, dove per saggezza si intende il precipitato (in senso chimico) della conoscenza condivisa, frutto di: “saggezza dall’esperienza, saggezza dalla competenza, saggezza dall’esplorazione”. E nell’esplorazione sta, secondo Ferrara, la formula magica. È solo la capacità che i designer, gli amministratori pubblici e il mercato mostreranno nell’aprirsi a percorsi collaborativi con i cittadini che renderà la progettazione migliore e più efficace. Viceversa steccati e contrapposizioni peseranno inevitabilmente sulla nostra capacità di dare risposte nuove ed efficaci alle domande del futuro. “Abbiamo imparato che quando progettiamo con le persone invece che per le persone, creiamo una realtà in cui possiamo vivere insieme”.

Tra le iniziative di cui si sta facendo carico il prof. Ferrara, c`è quella di uno studio di coprogettazione partecipata per il futuro dell’area Expo giacché quel sito, così servito e così vuoto è secondo lui emblematico della sfida della contemporaneità: abbiamo tutto, trasporti, servizi, connessioni e non sappiamo cosa farci, “l’opportunità per Milano ora è di usare il sito Expo come un laboratorio del villaggio globale”.

Ibridazione, partecipazione, collaborazione oltre gli organigrammi, i potentati e le influenze (più o meno legittime, siamo in Italia). Questi gli ingredienti per interpretare il futuro e progettare il territorio, riscoprendo la forza della debolezza, del bisogno di essere aiutati, per non rischiare di “non avere abbastanza debolezza per accettare gli altri”.

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