SOLUZIONI & APPLICAZIONI

Gig economy: che cosa può fare il governo Conte per i diritti dei rider

Il Comune di Bologna ha firmato con i sindacati una “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”. La Regione Lazio intende promuovere una legislazione regionale che tuteli maggiormente i fattorini di Deliveroo, Just Eat, Foodora, Glovo. Ma l’argomento andrebbe affrontato a livello nazionale

Pubblicato il 04 Giu 2018

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Nelle ultime settimane, gli stessi programmi di approfondimento politico che commentavano le tormentate vicende che hanno riguardato la formazione del governo Conte, hanno più volte accennato alle rivendicazioni sindacali dei rider, i fattorini che consegnano gli ordini per conto di Deliveroo, Just Eat, Foodora, Glovo e via di seguito.

La settimana scorsa, il Comune di Bologna ha firmato con Riders Union Bologna, i sindacati e una sola – piccola – società di consegne (Sgnam) una Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano. Parallelamente, la Regione Lazio ha lanciato una consultazione online sulla gig economy con l’obiettivo di promuovere una legislazione regionale che garantisca più diritti ai rider. Il neo ministro Di Maio, come primo atto dopo l’insediamente al dicastero, ha incontrato i rider: un atto simbolico.

La questione di fondo è se i rider possano essere considerati o meno dei lavoratori autonomi. Oggi, infatti, le piattaforme li trattano come tali retribuendoli a consegna: più consegne riesci a fare nel turno e più guadagni. Un algoritmo si preoccupa di smistare gli ordini in base alle esigenze e al ranking del lavoratore. Più alto è il tuo rank e maggiore è la probabilità che ti venga assegnata una corsa.

È un sistema che sfrutta un buco normativo per scaricare addosso al fattorino buona parte del rischio di impresa rendendo completamente variabile il costo del lavoro delle consegne. Le piattaforme non investono in risorse umane, si limitano a usarle quando servono, pretendendo che i rider siano dei freelance. Finora sono riuscite ad avere ragione, complice la sentenza con cui il tribunale di Torino ha stabilito che sei rider di Foodora “sloggati” (ossia “licenziati”) dalla piattaforma a seguito delle proteste non sono lavoratori subordinati. 

Probabilmente non durerà a lungo ed è giusto che sia così: per quanto si possa cavillare, è difficile sostenere all’infinito che non ci sia subordinazione in un lavoro che non ha nessuna qualifica, che viene svolto per un’azienda che determina puntualmente come fare le consegne (procedure, tempi, divise) e che definisce in modo del tutto opaco qual è il criterio con cui assegnare le corse. L’unica novità è che la subordinazione è in gran parte verso un algoritmo e non verso un superiore umano.

È meritevole che un comune o una regione si occupino della questione e cerchino di tutelare una categoria di lavoratori in crescita, ma la discussione sulle tutele e sui diritti dei lavori della gig economy potrebbe essere più efficacemente affrontata a livello nazionale. Con una raccomandazione fondamentale: che la discussione tenga conto delle diverse famiglie di lavoratori e non tenti di abbracciare in un unica grande categoria i “lavoratori delle piattaforme digitali”. C’è una grande differenza tra chi svolge un lavoro sostanzialmente subordinato come un fattorino o un autista di Uber, chi mette a disposizione un proprio bene inutilizzato come chi affitta una camera su AirBnB e un freelance che svolge un lavoro creativo utilizzando un marketplace come canale per acquisire nuovi clienti.

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Nicola Mattina
Nicola Mattina

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