Capita che ti svegli presto (come al solito) e poco dopo inizi a lavorare vedendo sulla prima pagina del Corriere la pubblicità di un nuovo libro: “L’Italia nella rete. Nascita caduta e resurrezione nella Net economy.” Se ne conosci e stimi l’autore, magari gli chiedi di fare una chiacchierata…se lui accetta, eccola!
Gianluca Dettori, imprenditore, innovatore, venture capitalist… Perché hai scritto questo libro?
“Innanzi tutto lasciami dire che è un libro scritto a quattro mani con la mia amica giornalista, esperta di imprenditorialità Debora Ferrero. Quanto alle motivazioni, ho sempre pensato che fosse un mio dovere, un dovere della mia generazione, fare tutto il possibile per migliorare la nostra amata Italia. È un dovere verso noi stessi e per i nostri figli.”
A chi è destinato?
“È destinato innanzitutto a chi fa startup o a chi sta per aprirne una. Mi piaceva l’idea di far conoscere le storie di chi è venuto prima e far comprendere come le cose che succedono hanno delle conseguenze e che ogni nuova generazione in fondo costruisce sulle spalle di quella precedente. Naturalmente, conoscere il nostro passato è importante, ma ancora più importante è progettare ed andare a prendere il nostro futuro.
Solo a loro? Dalla lettura mi sembra che ci siano altri pubblici.
“Hai letto bene. Il libro è anche destinato alla leadership Italiana. Non solo politici, ma anche dirigenti d’impresa, giornalisti, intellettuali cercando di dare delle ispirazioni sulle cose da fare e sugli errori da non ripetere. Spero che questo libro, nel suo piccolo, possa dare un contributo a cambiare mentalità.”
Mi sembra il pubblico giusto.
“Ho sempre pensato che l’arretratezza digitale italiana fosse una questione dell’intera, come si diceva una volta, classe dirigente e fosse proprio una questione di cultura e di mentalità. Questo mi conferma che facciamo bene a parlarne…Tu scrivi che “il digitale è uno strumento di competitività e crescita sociale i cui benefici intangibili si annidano nel tessuto di tutte le relazioni sociali.”
Qui siamo sostenitori della tecnologia solidale, la tecnologia che migliora la vita delle persone, a partire da quelle in difficoltà. Nella tua prospettiva vi è spazio per questa visione?
“Certamente…e sono profondamente convinto che sia una prospettiva giusta, anche se è vero che delle volte è discutibile se l’innovazione tecnologica e digitale migliori effettivamente la nostra vita. I social network hanno reso migliore o peggiore la nostra vita? Non lo so e non sono così sicuro di quale sia la risposta. Ma nel caso della tecnologia solidale non ci sono dubbi. La tecnologia può davvero migliorare la vita delle persone, specialmente di quelle in difficoltà. Sono convinto che ci sia molto spazio per questa visione, ho conosciuto tantissime startup che si sono dedicate a migliorare la vita di chi è più svantaggiato. I giovani hanno una grande sensibilità su questi temi e spesso delle idee fresche per risolvere i problemi, sono convinto che man mano che questa nuova generazione prenderà piede sarà portatrice di questa sensibilità.”
Sempre nel libro si legge: “Oggi il digitale incorpora le frontiere più avanzate nella lotta del bene contro il male.” Come può il singolo stare dalla parte del bene?
“Innanzitutto con la conoscenza del digitale: occorre essere attrezzati e attrezzare i giovani all’uso del digitale. Uno strumento potente può essere usato come un’arma da chi ha intenzioni cattive, quindi in primo luogo occorre saper usare il digitale, con i nostri figli curiamo molto questo aspetto. Occorre attrezzare i nostri giovani all’uso del digitale e a tutelarsi riconoscendo i comportamenti sbagliati. In fondo Internet era nata così, sulla spinta idealistica degli anni ’60 come strumento di liberazione dell’individuo, ma poi le cose sono andate un po’ diversamente ed oggi i lati oscuri della rete sono tanti e profondamente bui.”
Sai che sostengo che la rete ha lati oscuri perché è un ambito abitato dagli esseri umani e noi siamo fatti così: bene e male convivono indissolubilmente in ciascuno di noi e, di conseguenza, nelle cose che facciamo. Questo non vuol dire essere cinici, ma realisti e dunque non abbatterci ma anzi rinnovare la spinta ideale iniziale e scovare e diffondere il molto di buono che vi è online.
“Proprio così, c’è il negativo, ma per la stessa regola vale anche il contrario: quanto cose buone può portare la rete e con quanta forza e pervasività! Quando valore ha donato all’umanità Wikipedia in tutti questi anni? E Kiva? Sardex? E così via, la lista potrebbe essere lunga. Molto. Allungarla è parte del lavoro che faccio con Primomiglio.
Torniamo al tema economico. Ho sempre considerato la legislazione pro startup (e PMI innovative) il primo (e finora purtroppo unico) esempio in Italia di uno Stato amico di chi intraprende.
“Sì, è vero e bisogna dare il grande merito al Presidente Monti di questo. I suoi discorsi sul tema giovanile mi hanno sempre molto colpito, la sua lucidità e senso di responsabilità in questo ambito sono stati fonte di grande ispirazione e fiducia. Bisogna anche riconoscere che tutti i governi successivi hanno sempre curato e affinato questa normativa e oggi abbiamo un contesto regolatorio sul tema startup tra i migliori in Europa. Questa generazione di startupper ha rotto molti clichè della cultura Italiana sul tema degli imprenditori, talvolta considerati brutti e cattivi, sfruttatori, approfittatori. Quell’immagine un po’ antica dell’imprenditore/padrone è stata frantumata dalla cultura startup. Nel mondo delle startup l’imprenditore è quello che rischia, si mette in gioco, paga prima i suoi dipendenti e poi se stesso, è il primo ad arrivare la mattina e l’ultimo ad uscire. La cultura startup ha polverizzato l’idea del fallimento tutta Italiana in cui chi fallisce è un cattivo e chi ha successo è un buono”.
Quest’ultimo punto è un salto culturale davvero importante.
“Devo anche dire che in questo drammatico anno di pandemia molti imprenditori per così dire “tradizionali” hanno anteposto la tenuta dell’impresa e il mantenimento dei posti di lavoro al proprio tornaconto individuale, mostrando che l’imprenditore non è solamente un “prenditore”.
Nel libro si legge anche che hai molta fiducia nelle iniziative di Cassa depositi e prestiti del Fondo nazionale innovazione. A cosa è dovuto?
“Al fatto che la normativa è stata scritta secondo me bene, ha centrato in pieno i temi che in questo momento sono a mio giudizio centrali per fare il prossimo salto di qualità all’ecosistema startup. Ora chiaramente bisogna vedere se Cassa Depositi e Prestiti sarà in grado veramente di implementare bene il progetto, ma il fatto che un’istituzione così centrale per l’Italia si sia presa questa responsabilità è un fatto importante, anche perché può trainare il settore industriale finanziario Italiani ad essere molto meno timidi sugli investimenti tecnologici in Italia.”
Ultima curiosità. Cosa ti aspetti dal nuovo governo?
“Mi aspetto che ci sia una svolta decisiva e senza ritorno verso una profonda digitalizzazione della società Italiana.”
Quali sono i sintomi positivi che vanno in questa direzione?
“La domanda oggi è fortissima, tutta la società Italiana ha giocoforza dovuto confrontarsi con il digitale, scoprendone finalmente molti vantaggi. Siamo stati appesi (e tuttora lo siamo) a questo filo digitale che nella pandemia ci ha consentito di studiare, lavorare, rimanere in contatto. Mi chiedo, cosa sarebbe stata una pandemia venti anni fa, senza digitale?”
Siamo diventati tutti smart worker…
“In un certo senso sì. L’occasione ci ha anche fatto sperimentare cosa vuol dire rendere smart la nostra società con la tecnologia. Credo tutti noi abbiamo avuto chiara la sensazione di come si potrebbe organizzare diversamente la società moderna, migliorando significativamente la nostra vita senza rinunciare allo sviluppo. Il digitale è certamente una delle chiavi per pensare ad un modello di sviluppo sostenibile.”
Di questo concetto sarebbe contento Stefano Epifani. Grazie Per la chiacchierata e buon lavoro, caro Gianluca Dettori.