Quando ero piccolo, sentivo parlare dei “mutilatini di don Gnocchi”, la grande opera di aiuto ai bimbi vittime delle seconda guerra mondiale creata nell’immediato dopoguerra dal beato don Carlo Gnocchi.
Oggi, a cinquanta anni dalla morte del suo fondatore, la Fondazione don Gnocchi è una opera all’avanguardia anche nell’ambito dell’uso della tecnologia.
La scorsa settimana è stata tra le promotrici della seconda edizione della “disruptive week”, idee e prodotti dirompenti, nuove tecnologie per nuovi modelli di business.
Perché nel campo dell’uso realmente innovativo delle tecnologie la Fondazione don Gnocchi è “avanti”. Il primo esempio di questo è il CareLab – Computer Assisted REhabilitation Lab – attivo da pochi mesi presso l’Irccs “S. Maria Nascente” di Milano, con il supporto della Fondazione Elena Pajan Parola, della Fondazione Banca del Monte di Lombardia e dell’Associazione Paolo Zorzi per le Neuroscienze Onlus.
Al CareLab vengono riabilitati attraverso il gioco, usando le più moderne tecnologie e la realtà virtuale, bambini con problemi neuromotori dai 4 ai 13 anni. Credono di giocare mentre in realtà stanno facendo un trattamento. Giocare aumenta la motivazione del bambino e l’uso della realtà virtuale semi-immersiva consente di personalizzare l’intervento, grazie ai dati che vengono in continuità forniti al terapista, che non è “sostituito” dalle macchine ma rimane la figura centrale della riabilitazione.
La seconda fase di questo progetto prevede la realizzazione di un altro CareLab, probabilmente a Firenze e, a seguire, in altre città dove opera la fondazione. La terza fase è portare il CareLab a casa dei bambini, che continueranno a fare i “giochi” a casa loro, trasmettendo i risultati al Centro.
La Fondazione don Gnocchi è avanti anche nell’uso dei robot. Negli ultimi due anni hanno posizionato quattro robot nelle palestre di sette Centri della fondazione. Questi robot hanno la funzione di sostenere la volontà del paziente e la capacità del terapista, senza sostituirsi a nessuno dei due, e permettono inoltre di misurare l’intervento, di personalizzarlo e quindi di renderlo più sostenibile.
Ne è esempio il progetto di teleriabilitazione che la fondazione sta mettendo a punto per unire ai trattamenti domiciliari in presenza alcuni trattamenti in telepresenza. Ciò significa che il terapista dialoga via audiovidoe con il paziente e lo guida a svolgere correttamente i suoi esercizi come se il terapista fosse lì, mentre invece è al centro e monitore insieme il paziente, i suoi dati analitici e parametri vitali, rilevati tramite sensori. Il primo esperimento è in corso all’IRCCS S. Maria Nascente di Milano ma l’intenzione è di iniziare in autunno una sperimentazione a domicilio dei pazienti.
Infine, la Fondazione Don Gnocchi con il suo CITT (Centro per l’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico) è anche partner del progetto EnrichMe (ENabling Robot and assisted living environment for Independent Care and Health Monitoring of the Elderly). Finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020.
L’obiettivo è costruire un piccolo robot, facile da gestire come fosse un elettrodomestico, capace di migliorare la qualità della vita di persone anziane ancora autosufficienti ma con lieve forme di disabilità. Come? Monitorando l’abitazione 24 ore su 24, attraverso sensori wireless, e compiendo una serie di operazioni programmate e personalizzate: ricordare l’ora dei farmaci o un appuntamento, controllare le condizioni ambientali della casa (temperatura, umidità ecc), allertare un familiare o un caregiver, nel caso in cui l’anziano cada o ci sia un’emergenza. Entro settembre ci sarà una sessione di test con un prototipo di EnrichMe, con pazienti neurologici, presso la Casa domotica dell’IRCCS milanese della Don Gnocchi e in una struttura analoga in Olanda.
Tutte queste iniziative “disruptive” partono dalla considerazione che l’invecchiamento della popolazione e l’inesorabile aumento dei malati cronici sono due fattori che minano la sostenibilità dei sistemi sanitari di tutto il mondo. La tecnologia ora disponibile consente però di moltiplicare le possibilità di agire, a costi più contenuti nel tempo e con la precisione che deriva dallo studio della massa di dati che ogni tecnologia genera. I dati sono “ricchezza” anche in questo campo, una risorsa preziosa perché ha un grande valore predittivo, che aiuta a trattare in modo efficace e assoluta precisione soprattutto i pazienti cronici.
Dal cielo dove si trova, il beato don Carlo Gnocchi credo proprio possa essere contento del cammino fatto da quella che lui chiamava “la mia baracca” e delle prospettive che l’uso delle tecnologie spalanca per chi le vuole usare per migliorare la qualità delle vita delle persone svantaggiate. I “mutilatini” ne hanno fatta di strada e molta altra ne faranno ancora. Una buona strada…