“Ricordando Montaigne, abbiamo un disperato bisogno di “teste ben fatte”, che sappiano essere protagoniste del cambiamento più difficile e necessario, quello culturale.”
Questa frase chiude un post di Piero Dominici, docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università degli Studi di Perugia. Il post è del 14 dicembre 2018 eppure è un post odierno, perché spiega l’essenza di Tecnologia solidale: promuovere il cambiamento culturale, attraverso notizie e storie di startup, istituzioni, aziende, realtà del terzo settore, persone che stanno provando a realizzare il cambiamento e così migliorano la vita altrui e anche la propria.
In sostanza, Tecnologia solidale vuole essere un vaccino che ci rende immuni dal cinismo e dalla rassegnazione, dal pessimismo e dalla stanchezza. Ha una “somministrazione” settimanale iniziata qui il 13 febbraio 2015 e un “richiamo” annuale alla Camera, dove quest’anno faremo la decima edizione consecutiva dell’evento.
Utopia ingenua? Oppure un esempio di come uno sguardo davvero intelligente sulla realtà possa costruire un futuro migliore? Perché il futuro deriva da come agiamo nel presente, da come “sentiamo” il presente, da come viviamo questo tempo di “cambiamento necessario”, come titolava il molto interessante incontro organizzato lunedì dall’associazione Pensiero Solido.
Cerchiamo di costruire il giusto atteggiamento verso il futuro attraverso il presente che già c’è, non quello che giace, inerte e lamentoso. Il presente che cerca le possibilità nascoste dentro la realtà e si mette in azione, nonostante i dubbi, i problemi e le difficoltà. Questo atteggiamento non solo è “buono e giusto”, ma anche il più conveniente per il tempo che stiamo vivendo. Vuoi una prova? Guarda come ha cambiato modo di giocare, da due anni a questa parte, la nostra nazionale di calcio e i risultati che sta ottenendo. La stiamo tutti ammirando perché gioca in un modo diverso dal solito, nel segno del cambiamento di schema e di mentalità.
Dobbiamo essere un po’ tutti Roberto Mancini, ognuno di noi può essere il commissario tecnico del cambiamento….oppure fare come Federico Balocchi, sindaco della città di Santa Flora, in provincia di Grosseto. Avendo la banda larga, ha reagito allo spopolamento del suo comune lanciando il progetto che fa del suo comune uno “smart working village”, per attirare da fuori professionalità che arricchiscano la sua comunità e che facciano vedere ai giovani una prospettiva.
“Facciamo capire loro che non devi aspettare 20 anni per andare via, ma è figo rimanere, ha detto il sindaco all’Huffpost. “Perché è un paese con tecnologia, intrattenimento, bellezza e hai possibilità di avere qui un lavoro qualificato. L’università non sarà un primo passo per la fuga, ma un modo per formarsi, acquisire competenze e tornare qui, perché si vive meglio che altrove. Io il futuro lo vedo, lo vedo qui”.