Dopo Scalapay, Iubenda. Resto sempre affascinato dalle discussioni che accompagnano in Italia i (pochi) casi di startup di successo.
Poche settimane fa era partita una quasi interrogazione parlamentare sulla presunta italianità di Scalapay (ne ho parlato qui per chi se lo fosse perso).
La critica non ha risparmiato neanche Iubenda, che ha appena culminato con la exit il suo percorso imprenditoriale iniziato più di un decennio prima. Per la cronaca è stata rilevata da Team.Blue, una delle società leader in Europa per fornitura di servizi web. Per quanto i termini economici della transazione non siano stati disclosed, resta un risultato importante per il nostro ecosistema, strutturalmente carente di exit.
Due aspetti in particolare mi hanno colpito.
- I commenti che avevano criticato la ricostruzione della storia del percorso di Andrea Giannangelo fatta da Riccardo Luna (che, come al solito, si conferma un maestro nel dipingere questi ritratti). In particolare veniva segnalato come non fosse stato riconosciuto il ruolo di alcuni nel successo di Iubenda, mentre venisse enfatizzato il ruolo di altri.
- L’enfasi negativa data al fatto che Andrea avesse ricordato come agli inizi fosse stato “scartato” da Seedcamp e da Mind the Bridge.
Circa il primo punto, il successo – come la sconfitta – ha tanti padri. Però, mentre per le ultime i padri tendono in genere a defilarsi, nel caso dei successi parte sempre la corsa a saltare sul carro del vincitore di turno.
Io credo che alla fine Andrea Giannangelo debba essere grato a tanti, ma in primis a se stesso e al suo team.
Tra quelli che Andrea non deve ringraziare ci sono il sottoscritto e Mind the Bridge. Noi sull’affollatissimo carro non abbiamo nessun titolo di viaggio per provare a salire. Non perché lo avessimo “scartato”. In realtà Iubenda era stata selezionata tra le 15 migliori startup del 2011 e di conseguenza invitata al Venture Camp al Corriere della Sera il novembre dello stesso anno. Semplicemente avevamo fatto altre scelte. Sotto il video in cui un Onetti e un Marinucci d’annata annunciano le sette startup selezionate a raggiungerli in Silicon Valley.
Delle scelte fatte alcune si sono rivelate particolarmente lungimiranti: D-Orbit – avevamo intravisto il potenziale unicorno undici anni prima – Timbuktu – non ci era sfuggita la luce che brillava negli occhi delle due giovani Elena Favilli e Francesca Cavallo, luce che avrebbe permesso loro anni dopo di conquistare il successo planetario con le loro “Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli – Vivocha – comprata nel 2017 da Covisian, terzo operatore italiano dei call center.
A queste permettetemi di aggiungere Mangatar dell’indimenticato Andrea Postiglione, cui va un ricordo affettuoso che va oltre ogni metrica.
Altre scelte sono state meno valide. Di certo, col senno di poi, per fare l’en plein mancava Iubenda.
Non abbiamo come Mind the Bridge pertanto avuto un ruolo attivo nella sua splendida parabola di successo, cosa che ha senza dubbio avuto l’amico Gianluca Dettori (l’unica cosa che abbiamo fatto è intervistarlo sul Corriere nella allora rubrica La nuova Italia che avanza). Ma siamo felici lo stesso che sia successo, anzi forse di più.
Perché, mi chiederete?
Se l’erba del vicino è più verde sono felice perché ho una bella vista. Complimenti ad Andrea.