Non è un caso che la befana porti il carbone a chi ha fatto il cattivo e la COP 28 le ha dato sicuramente la ragione per distribuirne un po’. Purtroppo, in questo caso chi riceverà carbone ne sarà contento, visto che si oppone proprio al processo di definitiva decarbonizzazione del nostro pianeta. Infatti, le conclusioni della COP28, che si possono leggere qui, pur rappresentando un ulteriore passo in avanti, sono dal punto di vista scientifico ancora insufficienti a dare una spallata definitiva al problema. Ma cosa ne consegue per le imprese? Di fatto nulla di più di quanto si sapeva prima della COP e cioè che è un must per le imprese ridurre prima e azzerare poi le proprie emissioni. Solo così si fa allo stesso tempo la cosa giusta e si protegge la propria reputazione.
Mettendo da parte le imprese che si occupano direttamente di estrarre, trasformare e distribuire combustibili di origine fossili, che devono pensare a modificare il loro modello di business (e c’è chi come ERG l’ha già fatto!) cosa possono quindi fare tutte le altre, di cui statisticamente si occupa con maggiore probabilità chi legge questo articolo?
Decarbonizzazione per le imprese: come cominciare
La risposta è semplice: avviare senza esitazioni un programma di decarbonizzazione, meglio se allineato agli obiettivi della COP20 e quindi che ponga il 2030 come orizzonte temporale, il che vuol dire avere ben 7 anni a disposizione!
Nell’articolo pubblicato qui una settimana fa, e che trovate qui, ho proposto due “Quick win” che di fatto sono alla portata della stragrande maggioranza delle imprese di tutti i settori e dimensioni (quindi: “alibi vade retro!”). Cioè: acquistare energia da fonti rinnovabili, che è oramai disponibile a tutte le imprese per quanto riguarda l’elettricità e in misura crescente per quanto riguarda il gas, e compensare le emissioni residue attraverso il sostegno a programmi di riforestazione, meglio a quelli con una ricaduta anche sociale.
Queste misure sono il primo passo verso programmi di decarbonizzazione più ampi, rispetto ai quali vale la pena di fare chiarezza fra le definizioni di “Carbon Neutral” e di “Net Zero”, i termini più spesso utilizzati e altrettanto spesso confusi.
Cito il mio libro “L’Impresa for good”: “Essere carbon neutral significa raggiungere l’equilibrio fra le proprie emissioni, secondo gli scope 1 e 2 descritti dal Greenhouse Gas Protocol e quelle compensate, tipicamente attraverso l’acquisto di carbon credit adeguatamente certificati”.
Mentre essere “Net Zero” significa: “ridurre le proprie emissioni al minimo, integrando anche quelle dello Scope 3, compensando quelle residue esclusivamente con operazioni di sequestro o assorbimento, il tutto allineandosi alla traiettoria di riduzione delle emissioni stabilita dalla COP20 in funzione del target di contenimento dell’aumento della temperatura ad 1,5°”.
Anche se la spinta definitiva alla decarbonizzazione si concretizza nell’approccio Net Zero, già l’orientamento alla “carbon neutrality” è un passo importante e indica che l’impresa si sta muovendo nella direzione giusta.
Vediamo quindi quali sono i passaggi di un programma di decarbonizzazione, in parte validi solo per le aziende manifatturiere e in parte accessibili a tutte le imprese.
In cosa consiste un programma di decarbonizzazione per le imprese?
Un programma di questo tipo richiede:
– l’attivare processi di efficientamento che comportino la riduzione della quantità di energia utilizzata per volume o quantità prodotta; con questo si intende che a parità di produzione deve calare la quantità di energia utilizzata, mentre non significa che cali la quantità totale di energia utilizzata in assoluto dall’impresa se questa cresce; ovviamente questa misura è tanto più importante quanto ancora si ricorre a energia che proviene da fonti fossili;
– l’elettrificare tutto quello che è possibile elettrificare; questo può riguardare prima di tutto gli impianti produttivi e se ci riescono le acciaierie vuol dire che di possibilità ce ne sono per tutti; oppure riguarda i trasporti, sia delle merci che delle persone, il che comporta fra l’altro l’elettrificazione della flotta aziendale e il privilegiare per le proprie trasferte di mezzi a basse emissioni (per intenderci: meglio il treno dell’aereo); e rispetto ai trasporti ecco un’interessante intervista fatta in occasione di una TED conference a Monica Araya, che si definisce una “electrification enthusiast”;
– ovunque sia possibile, il ricorrere all’auto produzione di energia da fonti rinnovabili, il che corrisponde alla necessità di aumentarne la produzione complessiva anziché dividersi “quote” di quella esistente, come può accadere acquistandola da terzi a meno che questi non garantiscano l’investimento in nuovi impianti; da questo punto di vista l’arrivo delle norme attuative relative alle comunità energetiche aprirà prospettive davvero interessanti su cui è bene iniziare subito a ragionare.
– l’acquistare beni e servizi realizzati da imprese che hanno attuato importanti programmi di riduzione e compensazione delle emissioni, facendo diventare questo uno dei criteri in base a cui decidere da chi acquistare; e magari dimostrandosi disponibili anche a pagare qualcosa in più di quello che accadrebbe acquistando da imprese che ancora non considerano la riduzione delle emissioni come un proprio impegno;
– l’utilizzare nel settore alimentare, e in tutti i settori che attingono all’agricoltura per le proprie forniture, le pratiche di agricoltura rigenerativa, che favorisce lo stoccaggio di carbonio nel suolo, oltre che tutelare la biodiversità e la salubrità dei prodotti agricoli; per chi ne vuole sapere di più è imperdibile la visione del documentario “Kiss the Ground”
Da non dimenticare il monitoraggio e la supply chain
È importante sottolineare che un programma di decarbonizzazione va guidato attraverso un adeguato sistema di misurazione e monitoraggio, perché senza misurare la propria performance è difficile definire obiettivi e registrare i progressi. Ciò nonostante, tante iniziative possono essere attivate già prima di avere messo a punto un sistema di misurazione “perfetto”.
E infine, questo approccio deve coinvolgere in modo verticale la propria supply chain, non solo privilegiando gli acquisti da chi emette poco o nulla, ma anche sensibilizzando i propri fornitori che ancora non si sono attivati. Questa rappresenta una sfida ancora più impegnativa, ma davvero indispensabile se lo scopo è quello di massimizzare il proprio impatto positivo. Un’impresa è “for good” tanto quanto lo è la sua supply chain!