Nel 1857 Lionardo Vigo pubblicò il testo “Nu servu e nu Cristu” ripreso alcuni anni fa da Roy Pacy con il titolo “Malarazza”. È un canto antico, in cui un servo si rivolge a Cristo, dicendogli di essere maltrattato dal padrone e Cristo risponde “Tu ti lamenti, ma chi ti lamenti, / pigghia lu vastuni e tira fora li denti”, ossia basta lamentarsi, prendi il bastone e tira fuori la grinta. A fine ottocento, il testo fu ampiamente censurato e la pubblicazione venne vietata per istigazione alla rivolta.
In questi giorni di agosto, sono stati pubblicati degli articoli che credo possano far davvero riflettere sullo stato dell’innovazione nazionale in alcuni campi specifici.
L’innovazione comincia da noi: studiamo di più e smettiamola di lamentarci
Prima delle vacanze, Giovanni Iozzia scrive un pezzo dal titolo “L’innovazione comincia da noi: studiamo di più e smettiamola di lamentarci” in cui emergono due fattori principali:
- favoriamo l’immigrazione dequalificata ed esportiamo connazionali altamente formati
- nonostante i segnali incoraggianti della nostra economia, sia sul fronte della produttività che dell’innovazione e dell’open innovation, altre nazioni europeee ci superano abbondantemente con la gara alla creazione di incubatori giganteschi volti a favorire la crescita e lo sviluppo di soluzioni altamente innovative (vedi StationF a Parigi e Hub Criativo do Beato a Lisbona)
L’articolo si chiude con un passaggio importante:
“Può un Paese incolto e lamentoso generare e far crescere imprenditori innovativi in grado di cogliere le opportunità della trasformazione digitale? Senza formazione e coscienza dei propri valori e del proprio valore si può affrontare la disruption da protagonisti e non da vittime?”
Insomma, manca una vera cultura dell’imprenditorialità diffusa e spesso un vero mercato interno.
Pochi giorni dopo, Repubblica pubblica alcuni articoli che evidenziano importanti mancanze nel sistema di protezione delle informazioni e delle infrastrutture nazionali (vedi “I segreti a rischio dell’ Italia. La grande falla nei computer dell’esercito: “Da lì gli hacker possono arrivare ovunque” e “Dalle carte della Nato ai report su Siria e Libia: i segreti della Farnesina rubati da russi e cinesi“). Facendo la tara a quanto riportato sui giornali, credo sia doveroso fare alcune considerazioni su un argomento fondamentale come quello della sicurezza delle informazioni critiche della Nazione.
La mia azienda ha avvicinato il mercato della sicurezza informatica oltre 10 anni fa, quando la sensibilità sulla tutela dei dati in Italia era davvero ai minimi e quando, nello stesso tempo, altre nazioni (Regno Unito e Israele in testa) hanno investito pesantemente. In quegli anni, trovare corsi di formazione delle risorse era praticamente come accedere ad una setta di eletti, che parlavano una lingua tutta loro. La visione sulla sicurezza delle informazioni era praticamente legata ancora a War Games e con un approccio strettamente orientato alla scelta di un hardware o di un software prima che alla consapevolezza e alla formazione.
Oggi la sensibilità è cambiata, grazie all’attenzione di tutti i governi (ricordate la linea del Presidente Obama?), ma spesso, da molte organizzazioni nazionali, il tema della sicurezza viene approcciato quasi come un problema che non le potrà mai riguardare. In realtà, scontiamo un gap culturale e tecnologico notevole, poichè abbiamo interpretato in questi anni la digital transformation centrandola prevalentemente sulle risorse di sviluppo, tanto che un colosso come Cisco adesso cerca sviluppatori-innovatori, ossia risorse formate ad unire le competenze tecniche con la visione necessaria per comprendere le esigenze dei clienti e aiutarli nel percorso di digital transformation. Abbiamo investito pochissimo nello sviluppo di competenze verticali o trasversali in tema di sicurezza e cultura della tutela dell’informazione.
Cybersecurity, Gabriele Faggioli (Clusit): Non è solo questione di investimenti
In questi stessi giorni, nel Regno Unito nasce la Cyber Defence Alliance per proteggere le informazioni finanziarie. Premetto che nel Regno Unito c’è da anni un gruppo di condivisione degli attacchi informatici tra le banche e gli istituti finanziari per prevenire e fronteggiare le intrusioni. Questo gruppo è sempre stato trasparente verso le istituzioni. Eppure, l’investimento nella sicurezza dei dati e delle infrastrutture è andato crescendo in linea parallela con la crescente trasformazione digitale, proprio perchè esiste la consapevolezza che non può esserci innovazione e digitalizzazione delle informazioni senza la relativa tutela.
In Italia, ci troviamo di fronte ad un ecosistema dell’innovazione alla ricerca di mercati potenziali e un settore che, a livello nazionale, sconta dei ritardi significativi. Le nostre startup hanno disperato “bisogno di un mercato, vero, di capitali e clienti”, come scrive Giovanni Iozzia, prima ancora che di finanziamenti e incentivi. Un buon legislatore, laddove avesse visione e competenze, non dovrebbe fare altro che stimolare il mercato e i cervelli nazionali. Questo significa apertura alla sperimentazione e risorse da investire nel settore, ma è un investimento sul futuro. Eppure se guardiamo alle direttrici di finanziamento nazionali e locali, quale peso ha la sicurezza delle informazioni?
Il Sud è un bacino sterminato di competenze che potrebbero essere indirizzate e valorizzate dalle Università, qualora ci fosse un vero disegno di crescita e sviluppo, invece, ieri, Repubblica, pubblicava i dati del Ministero dell’Istruzione secondo cui aumentano i laureati in Italia, ma non al Sud. Questo calo al Sud è piuttosto consistente e rischia di allontanare ulteriormente il meridione dal resto del paese e dalla ripresa economica.
La digitalizzazione e l’innovazione sposteranno sempre più informazioni sensibili e critiche sui supporti digitali e la protezione delle informazioni e delle infrastrutture critiche sarà un tema caldissimo nei prossimi anni. Altre nazioni stanno investendo in questa direzione (cfr. il sito InnovateUK e le direttrici di investimento strategiche del Regno Unito), mentre noi stentiamo ancora ad individuare i livelli di obsolescenza e le falle di sicurezza nei sistemi che trasferiscono dati confidenziali e cruciali per la sicurezza e la crescita nazionale.
In sintesi, possiamo ancora lamentarci come fa lo schiavo o acquistare tecnologie di altri paesi (che non potremo controllare pienamente), ma prima o poi qualcuno ci dirà “Tu ti lamenti, ma chi ti lamenti, / pigghia lu vastuni e tira fora li denti”. Abbiamo il bastone, avremmo anche la mano che lo può impugnare, manca solo la volontà di capire quali sono i settori strategici su cui investire.
Questo post è stato pubblicato su Hands on the ground