Finanziamenti

Crowdfunding, il parere dell’avvocato: poche luci e molte ombre

Quattro i nodi da sciogliere del Regolamento Consob: limitazione alle start up innovative; raccolta solo di capitali di rischio; obbligo di una quota sottoscritta da investitori professionali; necessario coinvolgimento di una banca o di una sim.

Pubblicato il 26 Lug 2013

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Con il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start up innovative tramite portali on-line”, pubblicato dalla CONSOB il 12 luglio scorso in attuazione degli articoli 50-quinquies e 100-ter del Testo Unico della Finanza, l’Italia si dota, per prima in Europa, di una compiuta regolamentazione del fenomeno dell’equity crowdfunding.

Introdotta dal Decreto Crescita bis (Decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179 “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”) con l’obiettivo di facilitare l’accesso delle start up al mercato dei capitali di rischio in uno scenario macroeconomico contrassegnato dalla forte contrazione delle fonti di finanziamento attingibili attraverso i canali tradizionali, la disciplina nazionale del crowdfunding riconosce alle start up la possibilità di promuovere l’offerta al pubblico di strumenti finanziari di equity attraverso uno o più piattaforme on line specializzate nella mobilitazione della ‘folla’ di potenziali investitori.

Vengono a questo scopo create dal legislatore nazionale le nuove figure della “piattaforma online che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start up innovative, comprese le start up a vocazione sociale” e del “gestore di portali”, cioè del soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione delle piattaforme.

Posti al centro della nuova disciplina, i gestori di portali si presenteranno sul mercato come ‘vetrine’ dei progetti imprenditoriali delle start up innovative e potranno sviluppare, a seconda del modello di business prescelto, una pluralità di servizi aggiuntivi a favore delle imprese e degli investitori, quali la selezione dei progetti imprenditoriali da presentare al pubblico, attività di monitoraggio ongoing dei progetti, di facilitazione dei flussi informativi tra imprese e investitori nel periodo successivo alla conclusione dell’offerta, attività di consulenza strategica, ecc.

Il Regolamento della CONSOB interviene ora a completare la disciplina legislativa fissando: (i) i requisiti che i gestori di portali devono possedere per l’iscrizione nell’apposito registro tenuto dalla CONSOB ed il relativo procedimento di iscrizione (artt. 4-12); (ii) le regole di condotta che gli stessi gestori devono rispettare nella prestazione dei loro servizi nei confronti degli investitori (artt. 13-21); (iii) i poteri di vigilanza e repressivi della CONSOB nei confronti dei gestori dei portali (artt. 22-23); (iv) le modalità di svolgimento delle offerte al pubblico tramite i portali on line (artt. 24 e 25).

Pur dovendosi senz’altro apprezzare lo sforzo compiuto dalla CONSOB per trovare un punto di equilibrio tra le istanze di flessibilità della cornice regolatoria provenienti da un’industria nascente, da un lato, e le esigenze di tutela del pubblico risparmio dalle insidie di un mercato dai confini oggi inediti e nebulosi, dall’altro, il quadro complessivo che ne risulta sembra presentare nondimeno, ad un primo bilancio, poche luci e molte ombre. Queste ultime principalmente dovute ad alcune scelte a suo tempo compiute dal Governo nella stesura del Decreto crescita bis e che, in verità, non paiono troppo meditate.

Almeno quattro sono i nodi che dovranno essere tempestivamente sciolti dal legislatore per eliminare le più gravi distorsioni che potrebbero pregiudicare l’avvio di quest’industria.

E così, innanzitutto, la disciplina nazionale del crowdfunding si caratterizza attualmente come uno strumento eccezionale, utilizzabile da una platea circoscritta di beneficiari. L’appello al pubblico risparmio attraverso portali on line può, infatti, essere esclusivamente rivolto alla raccolta di capitali in favore di “start-up innovative” che presentano gli stringenti requisiti fissati dal Decreto Crescita bis mentre non è utilizzabile dalla generalità delle imprese e neppure dalla generalità delle start-up. Potranno dunque promuovere offerte tramite piattaforme online soltanto le imprese i cui soci siano in maggioranza persone fisiche, che siano costituite da non più di quarantotto mesi, abbiano registrato un valore della produzione annua non superiore a cinque milioni e abbiano come oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Occorre, inoltre, per accedere all’opportunità del crowdfunding che l’impresa presenti un determinato livello di spese in ricerca e sviluppo, impieghi una certa percentuale di personale ‘qualificato’ o sia titolare di privative industriali. Importanti settori della nostra economia vengono dunque esclusi dalla possibilità di usufruire di questo importante canale di accesso ai mercati. In realtà la scelta di dettare una disciplina agevolatrice ad hoc, limitata alle sole start up innovative, se può, forse, avere una plausibile giustificazione per quanto riguarda l’erogazione, necessariamente selettiva, di benefici fiscali da parte dello Stato, appare assai meno appropriata in relazione ad uno strumento normativo quale quello del crowdfunding che, riguardando le relazioni private che si instaurano sul mercato tra imprese e investitori, dovrebbe caratterizzarsi per un taglio generale e non discriminatorio.

L’offerta tramite piattaforme dovrà inoltre essere limitata alla raccolta di capitali di rischio – e quindi essenzialmente all’emissione di azioni di s.p.a. e quote di s.r.l. – con l’esclusione della possibilità per le start-up di offrire al pubblico strumenti di debito, titoli subordinati e strumenti ibridi non rappresentativi del capitale. Anche questa opzione, se può forse trovare una apparente giustificazione nel proposito di rafforzare la struttura finanziaria delle imprese ‘innovative’ attraverso apporti di equity, si risolve, da un lato, in un eccezionale ed indebito irrigidimento della disciplina a scapito di alcune imprese e, dall’altro, in una esclusione dalla cerchia dei potenziali investitori, dei soggetti con preferenze e portafogli finanziari che non contemplano l’investimento a titolo di capitale di rischio.

Un ulteriore vincolo normativo, ancora una volta imposto dal legislatore primario e soltanto in parte attenuato dalla regolamentazione dettata dalla CONSOB, è costituito dalla necessità che, ai fini del perfezionamento dell’offerta sul portale, una quota almeno pari al 5% dell’offerta sia sottoscritta da investitori professionali o da fondazioni bancarie o incubatori, con la conseguenza che i progetti imprenditoriali (almeno inizialmente) di più modesto rilievo economico difficilmente potranno trovare spazio nel nuovo ambiente regolatorio. Ciò senza che siano ben chiari i benefici in termini di protezione degli investitori retail.

Una rilevantissima barriera all’ingresso nell’industria dei portali on line è, infine, rappresentata dal necessario coinvolgimento di una banca o di una SIM nel ciclo di vita degli ordini di investimento impartiti alle piattaforme on line dai singoli investitori. Con una scelta dovuta alla (presunta ma ancora una volta scarsamente meditata) esistenza di vincoli derivanti dalla disciplina europea dei servizi di investimento (Markets in financial instruments directive – MiFID), il legislatore nazionale impone, infatti, ai gestori di portali di trasmettere gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita degli strumenti finanziari offerti sulle piattaforme esclusivamente a banche e imprese di investimento. L’intervento necessario di un intermediario finanziario per conseguire il perfezionamento dei contratti di investimento con l’emittente importa tuttavia un innalzamento dei costi di sottoscrizione delle offerte in termini difficilmente compatibili con il ridotto ammontare dei singoli investimenti che comunemente caratterizza l’universo del crowdfunding. Tutto ciò in un contesto in cui gli stessi intermediari – oltre ad essere un anello indispensabile dell’operatività dei gestori di portali indipendenti – si presentano altresì come potenziali concorrenti delle piattaforme in quanto autorizzati di diritto alla loro gestione.

Ne risulta un complessivo quadro regolatorio che, pur mosso dal lodevole intento di promuovere la reputazione dell’industria, apprestando garanzie di serietà a protezione degli investitori al dettaglio, si presenta allo stato estremamente oneroso e incapace di ridurrei costi di raccolta del capitale. Un sistema che solo in parte potrà giovarsi delle misure di semplificazione disegnate dalla CONSOB – vincolata da normazioni di rango superiore – e in contraddizione con le promesse, più volte ripetute dal legislatore nazionale, di voler produrre regolamentazioni snelle e semplici per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese.

Pur nella convinzione di molti che il canale del crowdfunding possa costituire un’opportunità e un volano davvero unico per le imprese al fine di reperire risorse finanziarie, difficilmente potrà dunque realizzarsi, nelle condizioni date, l’auspicio, formulato anche del Ministero dello Sviluppo Economico, di una soddisfacente diffusione dello strumento.

Corrado Verna ed Edmondo Tota sono avvocati dello studio legale NCTM

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