Che cosa sono le aziende deep tech? Come ci si investe?
Spunti molto interessanti al riguardo ci vengono da Josh Wolfe, co-founder del fondo di venture capital Lux Capital focalizzato appunto sulle deep science. Lux, nonostante sia un fondo relativamente piccolo nell’arena degli investitori internazionali, ha avuto performance eccezionali, raddoppiando negli ultimi due anni il valore del proprio portafoglio (ora 4 miliardi di dollari), con 25 delle sue portfolio company che hanno creato circa 30 miliardi di valore via M&A, IPOs e SPAC.
In una bellissima intervista su Institutional Investor – che vi invito a leggere – emerge forse la migliore descrizione di deep tech che ho finora trovato.
Come sono le aziende che lavorano nel deep tech? Hanno quattro caratteristiche:
- È, in estrema sintesi, “matter that matters”. Ossia aziende che possono avere un impatto significativo e sostanziale sul mondo.
- Sono aziende di cui quasi sempre non si è mai sentito parlare. Sono fuori dall’hype mediatico.
- Sono aziende che lavorano su tecnologie “at the far end of what’s possible”, spaziando da drone sailboats da mandare negli uragani fino alla gestione del nuclear waste e alla ricerca di scarce genetic traits per curare nuove malattie.
- Sono tutte aziende che, paradossalmente, hanno le loro radici in film di fantascienza.
Ma come scegliere i progetti di deep tech su cui investire?
Josh Wolfe è molto sincero al riguardo: “When I have these crazy, cutting-edge people come in, you don’t know at the moment when they’re pitching you whether they’re going to be the next Thomas Reardon or if you’re going to see an Elizabeth Holmes“. (Reardon è l’inventore di Internet Explorer, founder di CTRL Labs e ora guida il team sulle interfacce neurali dei Facebook Reality Labs. La Holmes è la protagonista del caso Theranos….).
Al riguardo Josh confessa come lo abbia aiutato molto il fatto di essere cresciuto a Coney Island, a fianco a fianco con hucksters and scammers. Cosa che gli ha permesso di sviluppare un atteggiamento critico – al limite del sospettoso – nei confronti delle proposte che gli vengono fatte e dei progetti che gli sono presentati:
“I grew up sort of squinty-eyed, always distrusting, trying to figure out what’s somebody’s agenda and game. I’m always trying to spot the sucker at the proverbial table. If you sit down and you can’t spot the sucker, you’re it, you’re the patsy.”
Che la “gritty New York sensibility” – rispetto al “unbridled optimism” della Silicon Valley – sia la più adatta a valutare le tecnologie futuribili?
Vedremo.