Scouting o procurement? Non è differenza di poco conto quando si intendono strutturare attività di open innovation o comunque avviare collaborazioni con startup.
Da circa un anno ho iniziato, con maggiore insistenza e frequenza, a ricevere inviti a parlare alle principali conferenze ed eventi sul “Procurement”. Tema? Open innovation e startup.
Il fatto mi aveva inizialmente incuriosito e successivamente portato a riflettere su due aspetti.
- L’“open innovation” è qualcosa di drasticamente nuovo o è semplicemente un modo nuovo per chiamare cose che le imprese già fanno?
- Che differenza c’è tra “procurement” e “scouting”?
La sensazione che ho maturato parlando con molte aziende italiane, in particolare di dimensione non grande (ossia la stragrande maggioranza, perdonatemi il gioco di parole), è che non si abbia un’idea precisa di cosa significhi realmente open innovation.
La realtà è che tutte le aziende già fanno, in una certa misura, open innovation
L’innovazione italiana è storicamente frutto di co-progettazione e collaborazione con aziende terze (fornitori, se mi permettete un termine non più alla moda). Ciò è ancora più vero per le PMI che, per dimensione, non hanno mai potuto permettersi di fare ricerca e sviluppo al proprio interno.
Di qui lo scetticismo che le funzioni acquisti (“procurement”) mostrano di fronte alle richieste delle altre funzioni aziendali – in particolare le unità neo-costituite intorno ai termini “innovazione” o “digital” – di trattare le startup in modo particolare, come se fossero una categoria speciale.
«Sono imprese come le altre» è la risposta che viene naturale dare. Risposta tecnicamente ineccepibile ma, nella sostanza, fuoriviante.
Perché c’è una differenza tra lavorare con le startup rispetto ad “ingaggiare” imprese tradizionali. Anzi due
Provo a spiegarmi:
- Le startup sono soggetti diversi, imprese molto particolari.
Sono un insieme vastissimo (l’orizzonte di riferimento è di necessità globale, difficile fare scouting sotto casa, sul punto torneremo in un approfondimento successivo) e molto dinamico (nel senso che evolvono, in una direzione – fallimento – o nell’altra – crescita esponenziale). Indi sono di difficile mappatura per un ufficio acquisti.
♦ - Il modo con cui si cercano le startup è diverso.
Raramente si parte da un bisogno preciso e ben definito (su cui costruire una bella gara di appalto). Nella maggior parte dei casi si parte da aree di interesse piuttosto ampie e lentamente – a mano a mano che si incontrano possibili soluzioni, alias startups – si arriva ad identificare cosa si può innovare. Quindi una prospettiva quasi rovesciata (è quanto viene chiamato “scouting”).
Tutto ciò richiede un atteggiamento diverso da parte di tutta l’impresa e un approccio dedicato dell’ufficio acquisti (e legale) (per chi c’è l’ha). In caso contrario il rischio, come dice Paresh Modi, Group Head of Business Development & Innovation di Vodafone, è di creare «an awful nightmare of processes» che rendano impossibile la collaborazione con le startup anche quando si è in grado di trovarle.
Nella mia conversazione con Paresh (“Mind the Chat” ovviamente; in Mind the Bridge ogni cosa che facciamo ha dentro le parole “mind” o “bridge”) affrontiamo il tema di come una grande azienda come Vodafone sia riuscita a ristrutturare il proprio processo acquisti per poter lavorare con le startup.
Il loro “Fast Track” consente oggi di fare onboarding di startup in 7 giorni – sì sette. Come? Semplificando i contratti (li hanno ridotti a 3 pagine – sì tre) e accorciando i tempi di pagamento (21 giorni). In altre parole, cambiando approccio e modo di lavorare, con benefici peraltro non solo per le startup.
Vi lascio all’intervista con Paresh che è ricca di spunti (anche se torneremo con più in dettaglio sul tema di come le grandi aziende possano ristrutturare i propri processi di procurement per renderli startup friendly).