Tempo fa ho visto, tanto per cambiare, un bel TED talk in cui si parla dell’invisibilità del contributo che la natura dà all’economia, e che consiste nel fornirci le risorse necessarie per realizzare tutto quello che utilizziamo o che consumiamo, oltre che semplicemente per vivere.
Capitale Naturale, come lo usano le imprese
La domanda che l’autore di questo talk, l’ambientalista ed economista indiano Pavan Suhkdev, pone è: cosa accadrebbe se dovessimo pagare per il vero valore delle risorse naturali che utilizziamo? II talk porta a conclusioni sorprendenti che lascio godere a chi vorrà vederlo (fatelo!).
Cito solo un passaggio e cioè quello in cui Suhkdev evidenzia che, se un’impresa considerasse nel suo conto economico il valore di quello che riceve dalla natura, avrebbe profitti di gran lunga inferiori. Aggiungo che, se questo conto economico contemplasse anche i danni provocati alla Natura, in tanti casi di profitti proprio non ce ne sarebbero.
Sono questi i casi in cui si producono le esternalità negative, cioè i costi indotti dagli effetti dell’attività dell’impresa che però vengono fatti pagare ad altri, comprese le generazioni future. L’inquinamento è uno di questi, un altro è quello che ha a che fare con il depauperamento del Capitale Naturale.
Capitale Naturale, che cos’è e perché è importante
Il Capitale Naturale è un indicatore economico il cui significato è intuitivo, che nella realtà è quasi del tutto ignorato e che invece va messo al centro dell’attenzione. Il Capitale Naturale rappresenta il valore dello stock di organismi, risorse e processi che costituiscono la natura. Fra questi i materiali, gli ecosistemi, i cicli delle acque, del clima, dei batteri, come quelli legati a piante ed animali. Insomma, tutti i beni e servizi forniti all’umanità dalla natura.
Per chi ama e rispetta la Natura, è ovvio che il valore di tutto questo è di per sé enorme, indipendentemente dal fatto che gli si possa dare un valore monetario. Ma è importante sapere che questo valore esiste. Per capirlo basta chiedersi cosa costerebbe sostituire un processo naturale con uno equivalente creato dall’uomo, cosa che peraltro spesso non sarebbe possibile nella stessa scala in cui avviene in natura (basti pensare agli sforzi in corso per ripristinare le barriere coralline).
Avere consapevolezza che tutto questo rappresenti una forma di Capitale con un suo valore monetario, potrebbe convincere anche coloro che non hanno un rapporto di amore con la Natura del fatto che intaccarlo sia pericoloso. Quindi che impegnarsi ad evitarlo sia non solo giusto ma anche conveniente, almeno per chi coltiva un po’ di lungimiranza.
L’Earth Overshoot Day: la misura del consumismo naturale
Di fatto, invece, sta accadendo il contrario. Lo dimostra l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno in cui l’umanità ha consumato tutte le risorse naturali che il pianeta è in grado di generare nel corso di un anno: il giorno in cui questo accadrà nel 2024 è il primo agosto. Nel 2023 l’Overshoot day è stato il 2 agosto. In realtà se tutti nel mondo consumassero risorse come negli Stati Uniti, l’Earth Overshoot Day sarebbe stato il 14 marzo e quindi questo indebitamento sarebbe iniziato il 15 marzo. Mentre se lo facessero come in Italia, le avremmo finite il 19 maggio.
Consumare così presto tutte le risorse generate in un anno vuol dire che dal giorno successivo all’Overshoot Day iniziamo, oramai da decenni, ad attingere dallo stock di Capitale Naturale, depauperandolo. È un po’ come se una famiglia spendesse tutto il suo reddito annuale ai primi di agosto: da lì in poi può attingere ai risparmi, fino a quando finiranno, oppure indebitarsi, senza nessuna possibilità di rimborsare il debito se le spese continuano ad essere superiori al reddito, quindi aumentandolo.
L’indebitamento del Capitale Naturale: i rischi
Nel caso del Capitale Naturale questo indebitamento vuol dire privare le generazioni future dei beni e dei servizi che la Natura offre, nella loro qualità come nella loro quantità. Il che lo rende di per sé ingiusto. Ma anche nella prospettiva meramente di profitto che anima ancora tante imprese, un atteggiamento di questo tipo è semplicemente sconveniente perché questo consumo eccessivo di risorse di fatto crea scarsità e comporta un aumento dei prezzi, in particolare delle materie prime. Penso che il campanello d’allarme di quanto è accaduto in questi ultimi anni sia stato sufficiente a dimostrare qual è il rischio che le imprese corrono di conseguenza.
Perché alle imprese conviene proteggere il Capitale Naturale
In definitiva, proteggere il Capitale Naturale dovrebbe essere un impegno di tutti: dei governi, dei cittadini e anche delle imprese, sia di quelle che sono direttamente coinvolte nella sua “gestione” che di quelle che attraverso i propri comportamenti impattano sugli ecosistemi, in pratica tutte. Il che impone ai leader delle imprese una scelta e cioè se fare parte delle imprese distruttrici di Capitale Naturale o di quelle che lo proteggono.
Per fare parte della prima categoria basta usare risorse come non ci fosse un domani, e magari sprecarne, o promuovere consumi “irresponsabili”. Per non rientrarci, si può invece promuovere i princìpi dell’economia circolare e salvaguardare la biodiversità. E per un imprenditore, tanto più se giovane, tenere la bussola in questa direzione è una bellissima occasione per dimostrare che la propria impresa crea valore senza che nessuno ne debba pagare il prezzo, né ora né in futuro.