Ci si è messa per prima Barbara Palombelli “Startup: parola magica che non ha prodotto un bel niente“, poi Flavio Briatore “Le startup? Una fuffa, aprite una pizzeria”, buon ultimo è arrivato Marco Camisani Calzolari: “Le startup sono un teatrino con troppi mangiafuoco“.
Un vero e proprio tiro al piccione, da parte di persone che, con rispetto parlando, non sono molto addentro al settore e sentenziano in modo eccessivamente colorato e semplificato.
L’ecosistema italiano delle startup, come tutti gli ecosistemi (quelli naturali così come quelli economici), è fatto di tante componenti, alcune negative, altre positive, ma è certamente vivo e sano. Porto quattro esempi concreti per dimostrarlo.
► La selezione delle idee imprenditoriali da parte degli incubatori strutturati e seri è durissima. E gran parte delle startup che poi diventano adulte passano da lì. I 25mila euro citati da Calzolari sono concessi alle startup neoincubate dopo un processo selettivo che consente, mediamente, a 1 idea d business su 100 di entrare al primo stadio di incubazione (early stage).
► La selezione prosegue anche dopo ed è altrettanto dura. Solo 2 o 3 delle startup incubate su 10 arrivano ai round di finanziamento successivo, che siano effettuati dagli stessi incubatori o da business angels o da venture capitalist. E questi tre soggetti non regalano niente a nessuno. Con clausole contrattuali spesso stringenti per chi viene finanziato. I team devono essere solidi. Il progetto convincente. Il mercato già avviato. Le prospettive reali e concrete.
► Anche il mondo industriale non fa sconti a nessuno. Tre esempi recenti: Cerved Group che entra nel capitale di Spazio Dati; Gruppo CGN che entra nell’equity di ModeFinance; Technogym che investe nella startup FitStadium. Tre progetti di corporate venture capital seri, che hanno comportato due diligence complesse e un’inevitabile selezione nell’individuazione della startup che fa al caso dell’impresa matura.
► Perfino il mondo bancario, criticato per essere lontano dal mondo delle startup, ora sta investendo. Grazie al provvedimento relativo al Fondo di garanzia statale, sono oltre 50 i milioni di euro prestati a medio termine dalle banche a quasi 120 startup (in meno di 1 anno), con tagli medi di investimento superiori ai 300mila euro. E la prospettiva potrebbe essere che a fine anno l’importo dei prestiti bancari a supporto delle startup innovative raggiunga quello degli investimenti cosiddetti istituzionali (business angels + venture capital) che è pari a oltre 100 milioni.
Le competizione quindi è severa e chi ci vuole provare deve sapere che anche in questo sistema non ci sono vie facili e semplificate.
Il teatrino delle startup non esiste. Esiste un mercato delle startup. E come tutti i mercati ha i suoi attori, le sue regole, le sue selezioni e le sue opportunità.
Non c’è dubbio che l’Italia sia indietro quanto a investimenti in giovani imprese innovative rispetto ad altri Paesi. Ma è altrettanto indubbio che i processi di selezione siano duri quanto quelli degli altri Paesi. Il nostro ha però una carta in più che alcune imprese consolidate hanno già iniziato a giocare ed è quello del corporate venture capital: se il sistema industriale (made in Italy e non solo) comincia a investire seriamente in questo ecosistema (e i segnali ci sono tutti) allora potremmo recuperare gran parte del gap e diventare anche noi una startup nation, con un modello originale oltre che sano.
* Federico Barilli è Segretario generale di Italia Startup