Riporto un breve estratto dall’articolo “Le Pmi italiane restano al palo: maturità digitale solo per il 26%” che illustra i dati poco confortanti dell’Osservatorio Polimi sull’innovazione nelle piccole e medie imprese:
“Manca la reale volontà di innovare da parte degli imprenditori italiani. Le previsioni di investimento in processi digitali nel 2020 parlano di stagnazione e in alcuni casi anche di contrazione rispetto all’anno appena trascorso, confermando una visione di sviluppo in ottica 4.0 ancora troppo timida – spiega Giorgia Sali, ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, che ha curato e presentato la ricerca – La reticenza nell’allocare investimenti in digitalizzazione da una parte è spiegata da una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altra dalla presenza di alcuni elementi di freno, quali i costi di acquisto dei servizi digitali percepiti come troppo elevati (27%), la mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%), lo scarso supporto da parte delle istituzioni (11%). Su quest’ultimo punto, si riscontra anche una scarsa conoscenza da parte di chi guida le aziende degli incentivi messi in campo dal Governo, in particolare nel Centro e Sud Italia: si è rilevato che ad esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sui voucher consulenza in innovazione promossi dal Mise“.
In Italia si innova poco e questo è vero. Sicuramente c’è un tema culturale da troppo tempo trascurato: fare impresa oggi è tremendamente più complesso rispetto a qualche anno fa.
C’è un tema dimensionale ad esso strettamente collegato. È necessario ridefinire la dimensione minima per competere, che è poi la tesi di fondo del mio libro “Restartup, le decisioni imprenditoriali non più rimandabili”.
Spesso l’imprenditore insegue la tecnologia piuttosto che affrontare lo sforzo di ridisegnare l’impresa, la strategia ed il modello di business.
Siamo sicuri però che sia tutta colpa degli imprenditori? Ho il dubbio che altri due fattori incidano sulla scarsa propensione all’innovazione nel nostro Paese.
Esiste davvero un premio all’innovazione? In un Paese in cui si tende a privilegiare l’aiuto pubblico rispetto al mercato, in cui si tende a sovvenzionare e tenere in vita le realtà decotte siamo proprio sicuri che chi innova abbia il giusto premio in termini di crescita aziendale e quote di mercato quando il sistema tende a mantenere in vita artificialmente i suoi concorrenti?
Siamo sicuri inoltre che il mondo dei servizi e della consulenza fornisca il giusto supporto sia in termini di qualità dell’offerta che di trasparenza e sincerità della stessa?
In un Mondo in forte cambiamento l’unica bussola possibile per chi fa impresa deve diventare la creazione di valore più che l’adesione all’ultima moda tecnologica o lo sfruttamento dell’ennesimo incentivo.
Per questo se alcune critiche alle PMI possono anche essere condivisibili non dobbiamo mai dimenticare le grandi sfide che lo stesso mondo dei servizi e della consulenza si trova ad affrontare.