L’annuncio è stato fatto mercoledì scorso dal Presidente Marc Tessier-Lavigne (ma ce lo aveva anticipato il professor Alberto Ratti in un incontro organizzato il giorno prima presso il nostro Innovation Center, nella foto). Dopo 70 anni Stanford lancia una nuova facoltà. Su cosa? Sulla sostenibilità e impatto climatico. Con una faculty di 60 professori! Il tutto è possibile da donazioni private per oltre un miliardo di dollari (con il contributo fondamentale John Doerr, storico venture capitalist di Kleiner Perkins cui verrà intitolata la School).
“Climate and Sustainability is going to be the new computer science”, ha ricordato Doerr.
La decisione di Stanford ha un impatto potenzialmente disruptive sul mondo dell’università.
Perché, di fatto, fa della sostenibilità una nuova disciplina che, per disegno, starà all’intersezione tra materie scientifiche ed umanistiche. Perché i recenti sviluppi dimostrano l’importanza di collegare la ricerca scientifica alla geopolitica.
Infatti alcune materie prime per quanto fisicamente disponibili potrebbero non esserlo sotto il profilo politico o economico o sociale. Si pensi, a mero titolo di esempio, al cobalto. Il fatto di essere, per più del 60%, estratto in Congo in condizioni non socialmente accettabili sta spingendo la ricerca verso batterie “cobalt free”.
La nuova facoltà sarà affiancata da un acceleratore per spingere ancora di più la generazione di startup attraverso spin-off accademici (il modello è quello già adottato anche dal MIT di Boston con The Engine).
Come noto, nel mondo universitario anglosassone, il link tra ricerca e industria è forte (Google e Yahoo! sono spin off proprio di Stanford). I professori possono lanciare startup (Stanford, ad esempio, lo consente chiedendo una “low single digit” di equity). Perché la ricerca deve essere messa sul mercato per avere un impatto.