“Qual è il numero minimo di persone da mettere insieme perché un gruppo possa sviluppare intelligenza collettiva?” è la domanda delle domande, quella che prima o poi avanzano tutti i curiosi o i potenziali clienti. La risposta “Non c’è un numero minimo” non è mai soddisfacente. Vedi subito corrucciarsi lo sguardo dell’interlocutore. Delusione sia di chi si aspettava un milione, sia di chi pensava cento o sospettava trenta. “Ma come? Non cè un numero minimo?” No. Proprio così. Non esiste un numero di individui tale per cui si possa dare il concetto minimo di folla, per di più saggia. Esistono semmai requisiti sociali, motivazionali, funzionali di quella community.
Hanno lavorato sinteticamente e bene anche su questo concetto l’americano Christopher L. Tucci e l’italiano Gianluigi Viscusi, in forza alla cattedra di Corporate Strategy & Innovation del prestigioso Politecnico di Losanna, intitolando il loro recente working paper: Distinguishing ‘Crowded’ Organizations from Groups and Communities: Is Three a Crowd? Tre persone bastano a fare una crowd?
Tucci e Viscusi individuano bene alcune caratteristiche senza le quali un gruppo non può essere definito crowd, ossia, per semplificare: un insieme eterogeneo e fertile che favorisca l’emersione di idee. Tali condizioni sono:
“Growth rate and its attractiveness to the members”
“Equality among members”
“Density within provisional boundaries”
“Goal orientation”
“Seriality of the interactions”
Cerchiamo di approfondirle, una per una.
Crescita e capacità di accogliere nuovi membri esterni alla community inizialmente coinvolta, che quindi la differenziano da un gruppo chiuso il quale, per definizione, non può crescere.
Uguaglianza, ovvero la garanzia che, quale che sia il membro del gruppo avanzante una proposta, tale proposta abbia uguale diritto di cittadinanza delle altre all’interno di un meccanismo di selezione (darwiniano, per così dire).
Densità, rispetto all’ambiente condiviso: in parole povere la cognizione da parte dei membri di condividere lo stesso ambiente fisico, o virtuale, come nel caso delle piattaforme online.
Focus sullo stesso obiettivo, giacché è proprio l’esistenza di un obiettivo condiviso da conseguire l’innesco aggregante.
Serialità delle interazioni, ovvero quanto esse siano ricorrenti e non episodiche e con ciò mostrino attività coordinata e continuativa orientata al raggiungimento dello scopo condiviso (punto 4).
A questo punto, spuntando le 5 regole, ognuno può cercare di capire se la propria organizzazione può essere un bacino efficace di intelligenza collettiva.
La famiglia, per esempio, se troppo chiusa su se stessa “contravviene” alla condizione 1; se troppo succube del pater familias alla 2; se scevra di scambi costanti alla 5. Peraltro, difficilmente condivide un obiettivo comune quindi, hmmm, difficile individuare la famiglia come esempio di intelligenza collettiva. Sia detto senza nessun riferimento a Family Day annessi e connessi e anzi chiudo subito il riferimento.
Ma passo la palla a voi: l’azienda dove lavorate è un bacino di intelligenza collettiva? E il vostro gruppo di amici? O la vostra famiglia allargata?
fabrizio@oxway.co