La trasformazione digitale è un’attività complessa che ha un impatto organizzativo e culturale. Il design thinking aiuta a farlo meglio e con migliori risultati. In due precedenti articoli ho sottolineato l’importanza di evitare un approccio superficiale e ho individuato alcuni elementi chiave che dovrebbero guidare l’introduzione dei metodi del design thinking in azienda. I primi due sono un luogo dove si fa innovazione, che deve essere diverso dagli abituali spazio di lavoro, e il team, che deve essere composto da dipendenti e consulenti esterni. Infine ci sono le “spintarelle”, che sono l’oggetto di questo articolo.
In molte aziende, i temi della trasformazione digitale e dell’innovazione (ossia gli obiettivi a cui è funzionale l’attività di design thinking) vengono spesso tradotti nell’attribuire una delega ad hoc al marketing strategico oppure nella creazione di una nuova direzione con a capo un responsabile innovazione. L’oggetto della delega cambia molto da organizzazione a organizzazione, ma nella maggior parte dei casi include la responsabilità di creare nuovi prodotti. Non sono un grande fan di questa opzioni organizzativa, per due motivi.
Il primo è che si riduce l’argomento innovazione all’ideazione di nuovi prodotti, mentre lo si dovrebbe trattare come tema culturale e organizzativo a trecentosessanta gradi. Il secondo è che si crea una dicotomia tra una élite di innovatori e tutti gli altri che gestiscono l’attività “non-innovativa”; questi ultimi finiranno inevitabilmente per sentirsi minacciati e, per paura di essere marginalizzati, proporranno la loro innovazione boicottando più o meno palesemente gli sforzi dei primi.
Il team di design thinking dovrebbe, invece, essere una funzione di staff autonoma e al servizio di tutta l’azienda. Questa scelta le darebbe la possibilità di agire in modo progressivo e pervasivo in tutta l’organizzazione utilizzando una tecnica di nudging (letteralmente colpetto o spintarella). I comportamenti organizzativi, infatti, sono il frutto di una stratificazione di abitudini e pregiudizi su cosa si può, conviene o non conviene fare. La teoria dei nudge suggerisce che tali abitudini si possano cambiare operando gradualmente sul processo che porta a scegliere un’opzione rispetto a un’altra (l’architettura delle scelte).
In altri termini, poiché l’obiettivo è diffondere una mentalità da designer nell’organizzazione, si potrebbe procedere creando un sistema di incentivi che premi chi decide di usare la metodologia nei propri progetti coinvolgendo il team di design thinking. Questo approccio permetterebbe di portare nel laboratorio un flusso costante di progetti e di esporre un gran numero di persone ai metodi e agli strumenti della progettazione condivisa. In breve tempo, emergerebbe un gruppo di dipendenti più portati per l’attività di ideazione e sperimentazione: un nucleo di designer interni all’organizzazione che diventerebbero un fattore determinante del successo delle strategie di innovazione e trasformazione digitale.
Questo articolo nasce dalle esperienze che ho accumulato utilizzando le tecniche del design thinking come imprenditore, consulente e docente, nonché dalle chiacchiere fatte con Carlo Alberto Pratesi, che mi ha ricordato della teoria dei nudge, e con Luca Mascaro, che è probabilmente i più bravo designer che io conosca, intelligente, curioso, umile e pieno di talento. È un’ipotesi di lavoro e come tale ha bisogno di essere approfondita, raffinata e testata. La condivido con l’augurio che chi è più bravo di me mi faccia sapere cosa ne pensa.