Resilienza. È questo a mio avviso l’elemento che meglio sintetizza la reazione che l’ecosistema italiano dell’innovazione ha avuto di fronte all’emergenza determinata dalla diffusione della pandemia. Una situazione che ha certamente avuto ripercussioni sull’andamento generale del settore, nel corso della quale sono però emersi segnali che lasciano ben sperare. Ed è su questi che voglio concentrarmi.
Parlo di resilienza perché, già nei primi sei mesi dell’anno, era emerso come le startup e le PMI innovative avessero reagito alla crisi meglio della gran parte delle aziende tradizionali, confermandosi come elemento chiave per la tenuta e la crescita dell’economia nazionale. Lo ha rilevato una ricerca realizzata da VC Hub Italia ed EY, secondo cui molte startup, soprattutto quelle legate al settore del digitale e in particolare all’e-commerce, hanno continuato a crescere, sia in termini di assunzione di nuove risorse che di ricavi. Ovviamente, una crisi di questa portata ha comprensibilmente generato difficoltà per una parte delle startup, ma come dicevo è sugli elementi positivi che a mio avviso dobbiamo concentrare la nostra attenzione.
Venture capital 2020, investimenti in calo
Guardando invece agli investitori, per il venture capital possiamo prevedere molto probabilmente una chiusura d’anno in leggera contrazione rispetto al 2019. Se diamo uno sguardo ai numeri del primo semestre 2020, infatti, vediamo come in Italia gli investimenti dei fondi di venture capital abbiano registrato una contrazione del 30%, scendendo a 217 milioni, rispetto ai 311 del primo semestre 2019. Segno meno anche per il numero di operazioni: 57 contro le 69 dello stesso periodo del 2019. Numeri che sono però in crescita se consideriamo anche i corporate venture capital e i business angel. Venture capital e corporate venture capital, infatti, nel primo semestre 2020 hanno investito complessivamente 119 milioni di euro in 36 round, mentre le attività di sindacato tra venture capital, corporate venture capital e business angel hanno fatto registrare investimenti pari a 98 milioni di euro su 21 operazioni e i soli business angel hanno investito 31 milioni in 31 round. Il totale di queste attività porta così la filiera dell’early stage a un investimento totale pari a 248 milioni di euro su 88 round.
2020, i segnali positivi
Aggiungo: leggiamo spesso che in Italia nessuna startup ha chiuso round da 100 milioni di euro e che l’Italia non è terra per unicorni. Ma sempre guardando cosa c’è stato di positivo in questo anno, voglio ricordare alcune delle exit più rilevanti di questo 2020: Checkout Technologies, SOSTariffe e Tannico (23 milioni). Cui si aggiungono il round chiuso da Satispay, inferiore ai 100 milioni di cui parlavo poc’anzi, ma in grado di coinvolgere un gigante come la cinese Tencent, o l’ingresso di Poste Italiane nel capitale di Milkman. Tutti segnali che lasciano ben sperare.
La resilienza mostrata da investitori e startup nell’affrontare questa emergenza e il divario emerso con il sistema imprenditoriale tradizionale, fanno emergere ancor più chiaramente – se si guarda al futuro – la necessità di sostenere le realtà con il potenziale maggiore, mettendole al centro del progetto di rilancio dell’economia del Paese. L’innovazione potrà dare un enorme contributo per far si che l’Italia esca dalla crisi e possa tornare a crescere, e altrettanto importante sarà il ruolo del Venture Capital, che consente a idee innovative di tradursi in imprese concrete consentendo la crescita e la contaminazione tra business tradizionali e innovazione (pensiamo solo all’e-commerce, che unisce logistica e tecnologia).
Il cambio di passo delle istituzioni
È inoltre importante guardare gli elementi positivi emersi da questa situazione di crisi. Ne sono convinto perché, oltre alla resilienza mostrata da imprenditori e investitori, un altro segnale positivo che potrebbe indicare un importante cambio di passo è l’approccio delle istituzioni verso il settore. Se è vero che l’ecosistema italiano dell’innovazione ha un innegabile gap da colmare rispetto ad altri Paesi europei, è altrettanto vero che per superarlo serve certamente un progressivo cambio di rotta a livello politico-istituzionale, e ci fa piacere evidenziare che, mai come nel 2020 è stata tanto alta l’attenzione e la sensibilità che le istituzioni hanno mostrato su questi temi e l’impegno del pubblico a livello sia politico che in termini di risorse destinate.
Per giocare la partita ad armi pari con altri Paesi europei, che per la maggior parte degli indicatori economici sono simili all’Italia, dovremo però impegnarci per aumentare il numero e la qualità dei soggetti che investono. Il nostro Paese sconta infatti il basso numero di investimenti rivolti ad imprese innovative proveniente da macro-soggetti come le casse previdenziali e i fondi pensioni, che altrove investono massicciamente, e un minor sviluppo del Corporate Venture Capital. Da questo punto di vista infatti, ricordo a malincuore che in Germania 29 delle 30 aziende quotate al DAX (principale indice azionario tedesco) hanno un fondo CVC, a fronte delle sole 6 aziende su 40 quotate al FTSE-MIB in Italia.
Nel complesso è giusto concentrarci sugli elementi positivi, che anche in un anno molto complicato come questo ci sono stati. Ma questi non annullano tuttavia il terreno che l’Italia deve recuperare verso altri Paesi europei. È ancora molto il lavoro da fare, e VC Hub, che ad aprile compirà 2 anni, continuerà a lavorare per la coesione degli attori della filiera dell’innovazione e per sostenere un comparto che, soprattutto in questi mesi difficili, ha mostrato la propria utilità sia nella vita quotidiana di ognuno di noi che la propria centralità per il sostegno e il rilancio economico dell’Italia.