L’Analisi

Volkswagen, alle origini della crisi: ecco cosa succede a un colosso quando i piani sono sbagliati



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Lo stato generale dell’economia tedesca, il fattore cinese, i ritardi sull’auto elettrica e gli errori sui software: sono diversi i fattori che hanno portato il gruppo Volkswagen a licenziamenti e chiusura di stabilimenti

Pubblicato il 19 set 2024

Ferdinando Pennarola

Professore di Organizzazione e Sistemi Informativi Università Bocconi



Volkswagen

Negli Stati Uniti corre un detto: “when the economy has the cold, the car makers have the flu”, quando l’economia ha un raffreddore, i produttori di auto hanno l’influenza. E i dati danno proprio ragione a questo antico detto: lo avevamo documentato in un precedente articolo pubblicato su EconomyUp nel maggio 2019.

Gruppo Volkswagen, i fattori della crisi

Quando le cose si mettono male nell’economia, per gli operatori dell’automotive lo scenario s’incupisce ancora di più, e ciò accade indipendentemente dall’area geografica in cui risiedono le fabbriche. L’automotive è caratterizzato da una elevata intensità di capitale: gli investimenti sono stellari e se il ritorno economico non arriva, il produttore è messo in ginocchio.

Questo è proprio quanto sta accadendo oggi, e il gruppo Volkswagen, stando ai drammatici annunci di possibili chiusure di fabbriche e riduzione degli organici, è tra i più esposti di certo in Europa. Quali sono i fattori che hanno portato a questa situazione drammatica? Possono essere riassunti come segue. 

Lo stato generale dell’economia tedesca

Il primo gruppo di cause che ha contribuito ad aggravare la situazione di Volkswagen ha a che vedere con lo stato generale dell’economia tedesca, che non ha assorbito ancora, e non ci sono prospettive incoraggianti a breve termine, lo shock degli aumenti dei costi dell’energia a partire dal 2022, a causa del conflitto Ucraina – Russia.

È bene ricordare che la dipendenza dal gas russo, comprato a prezzi da saldo, ha disincentivato gli sforzi per la diversificazione delle fonti energetiche e la ricerca di fornitori alternativi. Quando è arrivata la mazzata delle inevitabili sanzioni alla Russia per l’invasione dell’Ucraina, e quindi lo stop agli acquisti di gas, l’economia tedesca ha subito uno shock macroeconomico rilevante.

Gli OEM dell’automotive, che sono notoriamente energivori nelle loro fabbriche, ne hanno risentito immediatamente con un drastico aumento dei costi di produzione. A corredo di questa situazione macroeconomica non si deve sottovalutare la forte dipendenza di tutta l’economia tedesca dalle esportazioni del comparto automotive, che sono arrivate a pesare nel 2023 per il 14% del totale delle esportazioni di tutta la Germania. In Italia, sul totale delle nostre esportazioni complessive, le catene del valore dell’automobilistico non hanno mai raggiunto i livelli della Germania.

Le origini cinesi della crisi Volkswagen

In secondo luogo, la crisi del gruppo Volkswagen ha origini anche cinesi.

Il gruppo ha una presenza in Cina importante, costruita negli anni, a partire dagli anni 80, prima ancora della forte crescita globale dell’economia cinese. Gestire 39 impianti, con una forza lavoro di oltre 90mila addetti e oltre 3mila concessionari sparsi sul territorio della Cina è un impegno gravoso, che non può essere smontato facilmente.

In Cina, che numericamente è il mercato automobilistico più grande del mondo con circa 25 milioni di “passenger car” vendute ogni anno, la sterzata sulla elettrificazione del prodotto finale è stata accelerata dal governo di Pechino che ha sovvenzionato in modo massiccio i produttori locali, anche di nuovissima costituzione come BYD.

L’assenza di offerta di auto elettriche in Cina

Per contro, i piani sulla transizione ai modelli BEV per tutto il gruppo Volkswagen erano, e sono, concepiti in Germania e non hanno dato i frutti sperati in tempi rapidi, mentre è noto che gli imprenditori cinesi sono secondi a nessuno sulla velocità di esecuzione.

Il risultato è stato la perdita di quote di mercato, la minore penetrazione in Cina con esportazioni dalla Germania, e un ritardo sullo sviluppo dei modelli BEV rispetto ai produttori locali.

Quando manca il prodotto il cliente se ne accorge subito, e secondo la rivista Fortune (Settembre 2024) al salone dell’Automobile di Pechino ad aprile 2024, il pubblico ha snobbato i produttori occidentali, affollando invece gli stand degli OEM cinesi che, per innovazione ed elettrificazione, si sono presentati con una gamma più attraente.

La lentezza dell’auto elettrica nei mercati occidentali

In terzo luogo, e questo non è solo il problema di Volkswagen, nei mercati occidentali di grandi dimensioni – quindi escludiamo il caso della Norvegia che sta già celebrando il successo della penetrazione dei BEV – le curve di adozione del prodotto si sono dimostrate ben più ripide e complicate del previsto.

La penetrazione dei veicoli elettrici è stata rapida quando si è trattato di persuadere i famosi “early adopters”. il caso Tesla insegna: grande crescita iniziale, con uno o due modelli al massimo, ammirata da tutti per l’innovazione del prodotto, ma inchiodata sotto i due milioni di veicoli venduti da più di un anno, cosa che ha portato Elon Musk a rivedere i piani, abbassare i prezzi e ampliare la gamma futura, con costi maggiori e quindi minori soddisfazioni per gli azionisti.

Quando si tratta di convincere il grande pubblico, la sfida è molto più complicata, e lo sviluppo dei BEV, e di tutto l’ecosistema ad essi collegato, non ha ancora convinto la prima maggioranza, che nelle curve di adozione segue il segmento degli “early adopters”.

Tornando al caso di Volkswagen, la prova di questo problema è data dal crollo verticale degli acquisti di nuovi BEV quando il governo tedesco ha interrotto, a dicembre 2023, gli incentivi per l’acquisto di una nuova auto full electric. I problemi irrisolti dei BEV – autonomia insoddisfacente, tempi di ricarica lunghi, scarsa capillarità delle stazioni di ricarica – spaventano la prima maggioranza e non fanno scattare quel passaggio fondamentale di “effetto valanga” che serve per convincere il terzo e rilevante segmento dei “conformisti”, quella maggioranza silenziosa che si adeguerà più tardi, dopo che lo hanno fatto gli altri. 

I problemi con i software per le auto elettriche e ibride

Ciliegina sulla torta è arrivata con l’insoddisfacente spinoff di Cariad, l’unità organizzativa deputata allo sviluppo dei software per tutte le auto e in particolare per quelle a propulsione elettrica e ibrida, voluta nel 2020 dal precedente amministratore delegato Herbert Diess, sostituito da Oliver Blume nel 2022.

Cariad non ha funzionato, le competenze per lo sviluppo degli applicativi orientati al cliente non hanno soddisfatto le attese e il progetto si è dimostrato ben più complesso delle aspettative iniziali, al punto tale che, a giugno 2024, Oliver Blume deve correre ai ripari con un investimento di 5 mld di dollari nella californiana Rivian per poter accedere ai suoi esperti informatici.

Il combinato disposto di questi fattori ha messo in crisi il gruppo Volkswagen. Ci sono vantaggi e svantaggi ad essere un grande operatore del settore: le economie di scala che si possono sfruttare, date le dimensioni, sono oggettivamente un vantaggio, ma capire il cliente e realizzare una pianificazione che segue i bisogni della massa richiede maggiore agilità. L’agilità sarà la prossima sfida che metterà alla prova anche gli altri grandi OEM come Toyota, Stellantis e Renault: a loro il compito di non ripetere gli errori di Volkswagen per fare meglio.

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