Il fascino dei mercati finanziari risiede spesso nella capacità di fare grandi scommesse, di “prevedere” il futuro, di avanzare ipotesi. Anche quando queste ipotesi possono rivelarsi così lontane dalla realtà corrente da risultare talvolta incomprensibili. È quello che sta succedendo con Tesla, la casa californiana produttrice di auto elettriche fondata da Elon Musk (nel passato co-fondatore di PayPal), che a inizio aprile è diventata la prima americana del settore per capitalizzazione di Borsa, con un valore pari a 51,5 miliardi di dollari. Superando, nel giro di qualche giorno, colossi come Ford (44,7) prima, e General Motors (50,1) poi. Un risultato frutto di una cavalcata da parte di Tesla che va oramai avanti da mesi e che ha portato negli ultimi quattro a una crescita superiore al 70%.
È un sorpasso sicuramente sorprendente – alcuni parlano di una “bolla pronta a esplodere” – se si guardano i numeri attuali. Tesla ha prodotto nell’ultimo anno 84mila auto, contro i 6,6 milioni di Ford e i 10 di GM. È fortemente indebitata, fattura 7 miliardi di dollari e perde quasi 700 milioni, non avendo peraltro mai toccato la parità sin dal momento della sua nascita tredici anni fa; mentre l’ultracentenaria Ford ha un utile netto di 4,6 miliardi su un fatturato di oltre 150 e GM di 9,4 miliardi su un fatturato di 166. È solo follia? Probabile. In realtà la scommessa una ragione ce l’ha.
Il mercato sembra essersi convinto che l’auto elettrica è destinata a soppiantare quella tradizionale, per il convergere di un incremento della sensibilità ambientale (soprattutto in chi vive nei grandi aggregati urbani) con una crescente durata delle batterie e un loro costo viceversa decrescente. Sembra essersi convinto del fatto che molti dei differenziali competitivi che le grandi case automobilistiche hanno accumulato con l’esperienza di oltre un secolo sono destinati a “evaporare” con il passaggio al motore elettrico e che una casa come Tesla – che ha concepito le sue auto come una sorta di grande smartphone in una fase storica in cui la componentistica elettronica pesa sempre di più e ha sempre più rilievo fra i criteri di scelta degli acquirenti – avrà molte carte da giocare nel futuro. Sembra essersi convinto che l’integrazione a monte di Tesla, con la costruzione della Gigafactory destinata a produrre batterie di elevata durata e basso costo, sia anch’essa una scelta vincente.
C’è sicuramente molto ottimismo nella scommessa. C’è ottimismo sul verificarsi della transizione e c’è ottimismo sui tempi. È vero che la spinta verso l’auto
elettrica sembra essere confermata dai programmi annunciati da quasi tutte le grandi case automobilistiche: a partire da Volkswagen, numero uno nel mondo per numero di veicoli venduti, che – forse anche per far dimenticare lo scandalo statunitense – ha promesso che nel giro di un numero ristretto di anni la quota di auto elettriche rappresenterà il 25 per cento delle sue vendite totali. Ma alcuni ostacoli, e tra questi la messa a punto di una infrastruttura per la ricarica che copra i territori, potrebbero rappresentare un forte freno all’acquisto e un rallentamento dell’intero processo.
La speranza, probabilmente, è che almeno nelle città più congestionate e inquinate siano gli Stati – con i loro vincoli sulla possibilità di circolazione dei mezzi tradizionali – ad accelerare il passaggio. C’è forse ottimismo anche sulla capacità di Tesla di aumentare in misura molto sensibile i suoi livelli produttivi con il lancio della Model 3, un’auto – venduta al prezzo base di 35mila dollari (la metà circa dei prezzi attuali) – volta a far entrare Tesla stessa in una fascia di mercato più bassa, ma molto più ampia rispetto all’attuale. Moltiplicare per più di 10 volte i livelli produttivi nel giro di 2-3 anni, per arrivare al milione di auto promesso, rappresenta una sfida grandissima per Tesla e un’occasione di verifica della bontà della propria previsione per il mercato finanziario: un mercato che ama le scommesse ma detesta le delusioni, pronto a premiare i successi ma anche (come continuamente si verifica) a punire gli insuccessi o anche solamente i ritardi.
La mia speranza in tutto questo? Che Elon Musk, considerato il nuovo Steve Jobs, ce la faccia. Una speranza priva di conflitti di interesse, perché non possiedo alcuna azione Tesla.