È il momento migliore per essere nel business della nuova mobilità e dell’automotive, ma è anche il momento che presenta le maggiori sfide. I trasporti stanno evolvendo verso la modalità “transport as a service” (l’automezzo non è più legato al possesso ma alla funzione che deve svolgere). La proprietà del mezzo sarà sempre più condivisa, se non addirittura “frazionata” tra i componenti di un unico gruppo. L’auto elettrica sarà protagonista del futuro, sempre che si riescano a incrementare gli investimenti nelle infrastrutture. La self driving car potrebbe diventare un mezzo di trasporto di massa entro 10-15 anni. Serviranno nuove competenze e nuovi talenti per gestire la trasformazione. Tutti elementi di una rivoluzione che è certamente sfidante ma che, in primis, deve affrontare una questione ancora in sospeso: le regole. A dirlo è Randy J. Miller, EY Global Leader Automotive & Trasportation, che traccia per noi uno scenario a 360 gradi del mondo della mobilità e dell’automotive, ribadendo più volte la necessità di adeguare i regolamenti alla trasformazione in corso, per esempio in campo fiscale e nella gestione dei dati.
Al momento ne vedo sei: l’accelerazione della competitività, la battaglia per la relazione con il cliente (chi deve instaurare e mantenere questa relazione, i produttori di auto tradizionali, i venditori o qualcun altro?), la digitalizzazione lungo tutta la catena del valore, l’attuale mancanza di figure di talento e i problemi di natura geopolitica. Infine emerge con un rilievo senza precedenti la questione della regolamentazione: non credo che il contesto regolatorio stia tenendo il passo con il futuro della mobilità.
Esempi concreti?
Pensiamo alla fiscalità: nella fase attuale è in capo al proprietario dell’automobile. Si stima che nei prossimi anni il 25-30% della mobilità sarà mobilità condivisa. In particolare Milano e Roma raggiungeranno il 30% di sharing mobility nei prossimi due anni (non solo auto, ma anche biciclette ecc.ecc.). Dall’altra parte c’è l’amministrazione pubblica che sta ancora chiedendo di pagare le tasse sulla base della proprietà del mezzo. In Italia ci sono 8.000 città, ciascuna con le proprie regole e normative. Ma anche negli Stati Uniti c’è un patchwork di regole a livello federale, a livello statale, a livello locale…È un microcosmo all’interno di un macrocosmo.
A proposito di sharing mobility, è vero, come ritengono alcuni, che in futuro nessuno vorrà avere un’auto di proprietà?
Il contesto nel quale ci muoviamo è shared, green, connected e autonomous. Per quanto riguarda la mobility “shared”, sono convinto che, alla lunga, questa avrà un impatto sul numero di veicoli venduti. Secondo una recente ricerca, il 70% degli intervistati è pronto a pagare per l’utilizzo dell’automobile, non per la sua proprietà. E la percentuale sale all’88% tra i Millennials. Di conseguenza si svilupperà il Transportation as a Service, con il cliente al centro di tutta la mobility experience. Questo darà spazio al fiorire di servizi aggiuntivi per esempio nell’entertainment o nel settore dell’apprendimento. Una visione che possiamo definire omnichannel. A proposito di mobilità condivisa EY ha appena lanciato Tesseract, sorta di mobilità “frazionata” condivisa basata sulla Blockchain: consentirà al cliente di prendere parte a uno schema partecipativo che gli permetterà di possedere una frazione del veicolo. È partito all’inizio di settembre in UK, Stati Uniti, Asia e stiamo discutendo se portarlo in Italia.
Quale ruolo avranno le città, soprattutto le più grandi, nello sviluppo della mobilità condivisa?
Come abbiamo visto dagli hackathon che EY ha organizzato, le amministrazioni cittadine non sanno ancora come relazionarsi con i produttori di autoveicoli. A loro volta non sempre questi produttori sono capaci di rapportarsi con le città. È necessario far confluire tutto in un unico ecosistema. Io credo che occorra trattare le città come un cliente, perché l’amministrazione cittadina può arrivare a costituire un ulteriore canale attraverso il quale mettere insieme i nuovi business model che stanno emergendo nel settore.
Il contesto in cui si sviluppa la nuova mobilità è anche green. Ritiene che l’auto elettrica sia la giusta soluzione?
Sono convinto che aumenterà sempre più il ricorso a veicoli che utilizzano fonti di rifornimento alternative. Entro il 2030 il ricorso a queste fonti salirà al 35%, partendo dall’attuale 3,5%. Sono in ballo due ‘piattaforme’: veicoli elettrici e veicoli ibridi. Per incrementare il trend servono però migliori batterie di alimentazione, tecnologia, continui investimenti in infrastrutture e anche modelli di auto elettriche più accattivanti per il cliente. D’altra parte il mercato del diesel è in declino: si stima che scenderà al 4% entro il 2020-2025, partendo dal 30,5 % dove è ora. Non scomparirà, ma subirà una drastica riduzione. Per quanto riguarda la questione ecologica, la mobility non può certo risolvere da sola i problemi del pianeta, ma può attivare un processo parallelo. Il ricorso massivo all’elettricità per gli autoveicoli è qualcosa che accadrà sicuramente. Allo stesso tempo i governi devono sviluppare piani energetici coerenti con la questione ambientale.
Le infrastrutture sono pronte per il nuovo mercato energetico?
Non ancora: gli investimenti in infrastrutture non crescono in modo abbastanza veloce. Per esempio la rete energetica va rafforzata e servono più stazioni di ricarica, e più convenienti.
Tesla è un’azienda “nativa elettrica”. Quali sono i principali ostacoli per i produttori tradizionali nell’adeguamento alla transizione?
La trasformazione è indispensabile: le aziende devono continuare a sperimentare e a muoversi ancora più velocemente lungo questo percorso, per esempio attraverso rapide sperimentazioni. Sicuramente le grandi case automobilistiche devono affrontare delle sfide per quanto riguarda la loro supply chain, che è lunga e complessa. Tuttavia penso che tutto questo possa trasformarsi in un vantaggio, perché i big hanno l’infrastruttura e possono potenziarla. D’altra parte aziende come Tesla hanno il vantaggio di cominciare da zero, perciò possono forse procedere un po’ più velocemente degli altri e “prendere d’attacco” le altre aziende.
Lei accennava alla mancanza di talenti nel settore. Quali competenze sono necessarie per la nuova mobilità?
L’offerta per la mobilità del futuro è una suite caratterizzata da un insieme di elementi: la necessità di spostarsi più velocemente, di avere modelli di business alternativi e più talenti creativi. Per questo noi di EY abbiamo proposto Nodia. Sostanzialmente si tratta di un gruppo di talenti imprenditoriali che siamo in grado di chiamare a raccolta e ‘vendere’ ai nostri clienti in modo che li possano utilizzare in modo molto rapido.
La maggioranza dei 50,8 miliardi di dollari investiti dagli Usa nella mobilità tra il 2015 e il 2017 è stata destinata ai veicoli a guida autonoma. Quali i futuri sviluppi di questo mercato?
L’industria della self driving car ha un valore stimato di 7 trilioni di dollari ed ha già generato molte partnership e collaborazioni tra produttori di auto, fornitori e startup dell’hi-tech. Molte di queste partnership non sono esclusive: ciò significa che un’azienda produttrice può lavorare con due diverse società di software mentre persegue un unico scopo, quello di sviluppare un veicolo a guida autonoma. Nel breve e medio periodo la non esclusività degli accordi velocizzerà lo sviluppo della tecnologia in tutta l’industria attraverso lo sviluppo collaborativo. Nel lungo periodo fornitori e produttori dovranno affrontare la concorrenza di società più focalizzate sulla tecnologia. Nel frattempo continueranno gli investimenti nel settore dei veicoli a guida autonoma, con conseguenti progressi nell’elettrificazione, nelle infrastrutture, nell’Intelligenza Artificiale ecc. ecc. La nuova ondata di innovazione sarà focalizzata sulla mobility experience, con sviluppi nella domanda di mobilità, nelle infrastrutture per la mobilità e nell’integrazione della mobilità. Tutto questo continuerà a cambiare il modo in cui definiamo oggi i trasporti.
Quando le self driving car diventeranno automezzi di uso comune?
La tecnologia per la self driving car è già disponibile, ma la sua adozione dipenderà dagli sviluppi del “transportation as a service”, che sarà focalizzato su un’esperienza di mobilità totale. Se e quando verrà implementata questa esperienza dipende dai governi, dai produttori, dalle società di software e da tutti gli attori che lavorano insieme nel nuovo ecosistema della mobilità. Alcuni Paesi potrebbero lanciare le self driving car più velocemente di altri. I problemi relativi all’uso di questo automezzi sono la questione assicurativa, la mancanza di standard regolatori e un’infrastruttura carente oppure adottata troppo lentamente. In base a questi fattori riteniamo che le self driving car potrebbero arrivare in molti mercati entro 5 anni. La piena adozione, però, non dovrebbe avvenire prima di 10-15 anni.
Fino a pochi anni fa l’automotive veniva giudicato un mercato maturo, oggi è frontiera di innovazione. Cosa direbbe a coloro che lo davano per morto?
Direi che ora è il momento migliore per essere in questo business proprio grazie alla disruption e al fatto che vari settori diversi tra loro sono entrati nel mondo dell’automotive e hanno fatto la differenza. La natura aperta del nuovo business model della mobilità è una delle principali ragioni per cui è così attraente.