“Il know how, le persone che realizzano i prodotti, i macchinari: è questo il tesoro delle aziende. Se lo portiamo all’estero, ce lo rubano. Delocalizzare è insensato perché significa regalare ad altri Paesi la nostra esperienza: quando gli stranieri apprendono le tecnologie da chi va fuori Italia a produrre, non si fanno scrupoli a rimpiazzare le nostre imprese con le loro”. Se ci fosse uno spot per invitare gli imprenditori italiani a mantenere la produzione entro i confini nazionali, il presidente dell’azienda veneta Texa, Bruno Vianello, potrebbe sicuramente candidarsi come testimonial.
Pochi più di lui considerano la delocalizzazione una scelta inefficace per garantire un futuro all’imprenditoria e a tutto il made in Italy. E non a caso, la sua azienda, che produce strumenti diagnostici per le riparazioni di autovetture, mezzi agricoli e motori marini, ha la sua unica sede produttiva e la maggior parte dei dipendenti (350 su 470) a Monastier, in provincia di Treviso. All’estero, nei circa cento Paesi serviti, ci sono solo filiali commerciali e per l’assistenza tecnica.
La strategia di questo gruppo, il cui nome è l’acronimo di Tecnologie Elettroniche X l’Automotive, si basa dunque soprattutto sul capitale umano. Tanto che il nuovo stabilimento di Texa, inaugurato nel settembre 2012, è molto più a misura d’uomo del precedente e nei suoi 30 mila metri quadri contiene numerosi spazi di aggregazione per i dipendenti: sala giochi, Internet point, caffè, ristorante, teatro. Più che a una fabbrica, fa pensare a un paesino di provincia. “Certo, avevamo bisogno di più spazio per produrre”, racconta il presidente. “Ma abbiamo pensato di realizzare undel genere per fare in modo che i lavoratori fossero più motivati e contenti di venire qui. L’obiettivo è che queste persone sentano l’azienda come se fosse la propria e abbiano continuamente la voglia di mettersi in discussione. Il lavoro non deve limitarsi al portare a casa uno stipendio ma deve corrispondere, come nel calcio, alla voglia di vincere contro le altre squadre”.
Rimanere in Italia e accelerare sulla qualità del lavoro hanno portato buoni risultati anche in tempi di crisi, visto che negli ultimi tre
anni Texa è riuscita a mantenere un fatturato stabile intorno ai 50 milioni di euro. “Prima della recessione crescevamo del 10-15% l’anno ma consideriamo positivo anche il fatto di non aver avuto perdite. In più, il 2014 è partito molto bene: nei primi due mesi navighiamo con il 20% in più rispetto allo stesso periodo”.
La ricetta per restare competitivi anche in piena recessione, senza muovere di un centimetro la produzione, è stata la scelta di accelerare moltissimo sull’innovazione, anche prima che la Grande crisi si riversasse sull’economia italiana. Risale al 2007, per esempio, l’accordo di collaborazione con Google Search Appliance che ha permesso a Texa di proporre sul mercato (in questo caso, gli acquirenti sono i riparatori di autovetture) un software capace di cercare i guasti dei veicoli nei database dell’azienda grazie agli algoritmi targati Big G. In altre parole, un meccanico che fa l’analisi di un veicolo guasto può digitare sul sistema il tipo di problema che ha l’automobile e scoprire con la tecnologia Google sulla banca dati Texa se lo stesso inconveniente è già stato risolto altrove. A quel punto, se l’esito è positivo, si trova già la soluzione bella e pronta.
Un altro fronte di innovazione su cui l’azienda ha guadagnato competitività è quello della diagnosi a distanza. “Un meccanico che si trova di fronte a un problema difficile da risolvere si può mettere in collegamento con noi e ricevere direttamente la soluzione”, spiega Vianello.
Che lo scommettere su ricerca e sviluppo non sia da queste parti solo un mantra da ripetere durante i convegni lo dimostra anche il numero di ingegneri che lavorano per Texa, 110, e la quantità di premi ricevuti negli ultimi anni. “Per mantenere questi livelli di fatturato abbiamo dovuto fare vari cambiamenti”, dice il numero uno dell’azienda. “Abbiamo capito che se non spendevamo soldi in nuovi prodotti tecnologici, anche in un periodo in cui il mercato rispondeva meno bene, rischiavamo di andare male. E il fatto di aver ottenuto diversi riconoscimenti internazionali (tra cui il premio Imprese per l’Innovazione 2012, ricevuto al Quirinale dalle mani del presidente della Repubblica, ndr) è il segno che abbiamo preso la decisione giusta”.