I dazi imposti dalla Commissione Europea sulle automobili cinesi – fino al 45% incluse le tariffe già esistenti sulle importazioni di auto – sembrano preludere a una guerra commerciale tra UE e Cina, con l’obiettivo di limitare l’importazione di veicoli dal colosso asiatico. Ma i dati supportano davvero questa strategia o si tratta solo di una percezione errata?
Secondo l’ACEA, l’Associazione dei Produttori Europei di Automobili, la realtà dei numeri è molto diversa dall’immaginario comune. Nel report 2023 (i dati definitivi del 2024 saranno disponibili a metà 2025), emerge un quadro sorprendente.
La Cina esporta nella UE meno di quanto importi
Nel 2023, l’UE ha esportato oltre 6,7 milioni di veicoli, di cui circa 420.000 diretti in Cina. Di questi, 360.000 erano automobili, per un valore complessivo di 19,4 miliardi di euro. Al contrario, l’UE ha importato 3,9 milioni di veicoli nello stesso anno, di cui 782.000 (meno del 20% del totale importato) provenienti dalla Cina, per un valore di 12,9 miliardi di euro. La bilancia commerciale UE-Cina nel 2023 è dunque favorevole all’Europa per 6,5 miliardi di euro.
La Cina esporta molti veicoli nel mondo, ma solo il 14% delle sue esportazioni arriva nell’UE, mentre la metà delle importazioni cinesi di automobili proviene dall’UE. Alla luce di questi dati, una guerra commerciale con la Cina potrebbe danneggiare soprattutto l’Europa, non il paese asiatico.
La Cina è uno dei maggiori acquirenti di automobili europee, rappresentando il terzo mercato per valore dopo Stati Uniti e Regno Unito. Perdere i profitti derivanti da questo mercato sarebbe un grave danno per l’UE, che dovrebbe quindi ridurre, non aumentare, le restrizioni commerciali con la Cina. La Germania lo sa bene e infatti è stata la capofila delle nazioni europee che si è opposta fino all’ultimo all’introduzione dei dazi. Non altrettanto sembra aver fatto bene i conti l’Italia, che rimane convinta che l’EU sia in perdita rispetto alla Cina nel campo della bilancia commerciale.
Invasione cinese nell’automotive UE? i dati lo smentiscono
Siamo dunque giunti a una prima conclusione importante: non esiste un’invasione cinese nel settore automotive. Semmai, sarebbe la Cina a poter parlare di un’invasione europea. Almeno fino all’imposizione dei dazi da parte della Commissione Europea, il paese asiatico non aveva mai pensato di ostacolare l’importazione di modelli europei, noti per la loro alta qualità e le eccellenti finiture, preferendo competere sul terreno della qualità e dell’innovazione, come dovrebbe avvenire in un mercato aperto. Al contrario, nessuno sembra preoccuparsi della diffusione di prodotti di marchi cinesi (o asiatici in generale) in altri settori dove l’invasione è reale, come quello degli smartphone. Marchi cinesi come Xiaomi e Huawei, insieme alla sudcoreana Samsung, dominano le vendite in Europa accanto all’americana Apple. Forse perché nessuno è disposto a rinunciare a smartphone di qualità a prezzi accessibili, inclusi coloro che combattono contro le auto asiatiche?
Auto elettriche: l’Europa sconta un ritardo decennale
Tuttavia, un’eccezione è rappresentata dal settore delle auto elettriche, dove l’Europa paga un ritardo significativo di due decenni. Nel 2023, l’UE ha importato circa 440.000 auto elettriche dalla Cina, per un valore di quasi 10 miliardi di euro, mentre ha esportato in Cina solo 11.500 unità (il 2,6% rispetto all’import!), per un valore inferiore a un miliardo di euro. La quota di mercato delle auto elettriche cinesi nell’UE è salita dal 3% al 22% negli ultimi tre anni.
Questo squilibrio spiega la percezione di una “invasione cinese”, spesso evocata da esponenti politici. Tuttavia, il problema non risiede tanto nel volume complessivo degli scambi commerciali (che, abbiamo visto, è favorevole all’EU), quanto nel forte ritardo accumulato dall’Europa nella transizione energetica nel settore dei trasporti.
L’importanza di investire sulla transizione energetica
Negli ultimi vent’anni, mentre la Cina investiva in ricerca, sviluppo e produzione di batterie e veicoli elettrici, l’Europa ha continuato a puntare principalmente su motori a combustibili fossili e ibridi. Questo approccio è evidente ancora oggi, osservando le pubblicità delle automobili. Nel 2025, molti gruppi automobilistici europei restano ancora focalizzati su veicoli ibridi, in cui il contributo della trazione elettrica è marginale, se non quasi inesistente, come nel mild hybrid. Sono rimasto basito nel vedere ieri sera in TV la pubblicità di un nuovo modello di punta di un importantissimo brand europeo che, pur enfatizzando l’elevata qualità del veicolo, alla fine rivela che le uniche motorizzazioni disponibili sono benzina, diesel (ormai relegato a uno scarno 10% del mercato europeo) e mild hybrid. Di conseguenza, il divario con la Cina continua ad allargarsi e le emissioni di CO2 rimangono elevate, superando i valori target stabiliti dalla stessa UE per il 2025. Inoltre, l’industria europea sembra continuare a trascurare lo sviluppo massiccio di auto elettriche a basso costo nei segmenti A e B, i più richiesti in mercati chiave come quello italiano.
La qualità della produzione europea resta elevata, ma i dati mettono in luce il ritardo tecnologico nei veicoli elettrici, soprattutto quelli destinati ai segmenti popolari, dove i modelli cinesi risultano più competitivi grazie a prezzi accessibili e maggiore innovazione.
La carica dei marchi occidentali che producono in Cina
Ma c’è un dato ancora più sorprendente riguardo al mercato delle auto elettriche: il 22% della quota di mercato delle auto elettriche vendute nell’UE e prodotte in Cina include anche brand non cinesi che fabbricano i loro veicoli nel paese asiatico. E non si tratta affatto di una porzione marginale, anzi, rappresenta la maggior parte. Se si escludono i marchi non cinesi, la quota effettiva delle auto elettriche di brand cinesi nell’UE scende dal 22% a solo il 7%! I marchi occidentali che producono in Cina sono molti di più di quanto si possa immaginare. Tra questi troviamo, ad esempio, BMW, Citroën, Dacia (con la Dacia Spring, attualmente l’auto elettrica più economica in Europa), DS, Smart e Volvo. Da sottolineare anche il caso della Tesla Model 3, l’auto elettrica più venduta in Italia nel 2024 con quasi 10.000 unità, un numero ormai paragonabile alle vendite del modello diesel più popolare, la Volkswagen Tiguan. Va considerato che, al momento, l’unica gigafactory Tesla in Europa, a Berlino-Brandenburg, produce esclusivamente la Model Y, mentre la Model 3 arriva dall’impianto cinese di Shanghai. Non sarebbe forse più saggio per il governo italiano valutare l’opportunità di convincere il magnate americano a costruire una gigafactory Tesla in Italia, magari per la Model 3 o per le future Tesla a basso costo, piuttosto che insistere su progetti come Starlink, già pienamente disponibile sia per i privati che per le strutture pubbliche in Italia da diversi anni?
Insomma, anche nel campo delle auto elettriche, l’”invasione” di brand cinesi non esiste! O meglio, esiste solo nelle fasce di mercato che, colpevolmente, i marchi europei hanno deciso di trascurare, per ragioni spesso difficili da comprendere. Ad esempio, che senso ha per Fiat immettere sul mercato nel 2025 una Panda (seppure una “Grande” Panda) a partire da circa 25.000 €, quando i principali marchi cinesi arriveranno quest’anno in Europa con auto elettriche al costo di poco più di 10.000 €? Un esempio emblematico è la BYD Seagull, già il veicolo più venduto in Cina, che verrà proposta nel 2025 in Europa a soli 12.000 €. Non sarebbe stato più saggio per Fiat concentrarsi su una Panda elettrica tradizionale, con un prezzo competitivo in linea con le citycar cinesi annunciate da anni, piuttosto che continuare a puntare su una Panda a combustione interna? Quest’ultima, pur essendo il modello più venduto in Italia nel 2024 con ben 100.000 unità (addirittura più che nel 2023), ha un costo paragonabile alle auto elettriche economiche cinesi che arriveranno sul mercato europeo nel 2025.
Se esiste un’invasione, forse è quella dei marchi occidentali stessi, che hanno scelto di sfruttare la globalizzazione del mercato e della produzione a proprio vantaggio. Non dovrebbero quindi lamentarsi più di tanto. Sarebbe invece opportuno che i governi europei agevolassero, con supporti mirati, la produzione di auto dei marchi locali direttamente in Europa, Italia compresa, anziché ignorare il problema.
Quindi, torniamo alla domanda iniziale: i dazi sono davvero la risposta giusta dell’UE? O sarebbe stato più efficace un piano ambizioso di sostegno e sviluppo per l’industria europea, volto a colmare il ritardo tecnologico e a incentivare la produzione locale di veicoli elettrici competitivi, soprattutto nei segmenti di mercato più popolari, dove si gioca la vera sfida della transizione energetica nel settore del trasporto leggero su strada?