Verrà mai costruita una fabbrica Tesla in Italia?
Secondo i dati di Eurostat più recenti (2023), fatto uguale a cento il valore delle esportazioni della Germania con il resto del mondo, il settore automotive si prende il primo posto con un rilevante 14%. Fatto uguale a cento il valore delle esportazioni dell’Italia, il primo posto se lo prende il settore farmaceutico (medicinali e preparati farmaceutici) con una quota del 8%. Occupa quasi 70mila persone, di cui il 90% laureati, senza contare il suo indotto.
È chiaro che la Germania è significativamente esposta con l’automotive. Il modello costruito negli anni del premierato di Merkel si basa su una scommessa importante su una catena del valore ricca di eccellenze tecniche, sostenuta dai bassi costi dell’energia grazie al gas russo. La guerra Russia – Ucraina da una parte, la trasformazione della mobilità verso l’elettrificazione dall’altra, impongono ai tedeschi una ricostruzione urgente per rivoluzionare un indotto enorme. Se ciò non accadrà nei tempi previsti, la potenza economica dei vicini tedeschi si annebbierà per molti anni, e questo non è un bene per nessuno.
La fabbrica Tesla in Germania: una mossa di politica industriale
Non vi sono dubbi che il problema sia alla massima attenzione delle autorità e degli esponenti politici della Germania e, sul fronte automotive, vi è una prova schiacciante: la prima giga factory di Tesla in Europa è stata realizzata a 38 chilometri da Berlino, nello stato di Brandeburgo, e inaugurata da Elon Musk in persona nel marzo 2022. Si tratta di un investimento importante, sostenuto da forti incentivi dello stato, di cui si iniziò a parlare nel lontano 2015, e che ora vede nascere i primi risultati. A Berlino, Tesla assembla ogni settimana 5000 Model Y, il SUV della casa americana, e la capacità produttiva a regime sarà di 250mila auto all’anno, anche grazie all’aggiunta di un terzo turno di lavoro alle linee. È opinione diffusa che i tedeschi abbiano fatto bene a non aspettare le mosse dei loro giganti, Volkswagen in primis: assicurarsi la messa a regime, sul proprio territorio, di conoscenze, metodologie e sistemi di fornitura di un OEM full electric come Tesla, è stata un’astuta mossa di politica industriale, pur se al prezzo, non facile da accettare, di un vantaggio ad un costruttore di matrice USA.
Quali carte ha l’Italia
Ma in Italia le cose stanno diversamente. Nel nostro Paese l’assemblaggio finale di automobili e veicoli commerciali è crollato sotto il mezzo milione di unità nel 2022, a fronte di un mercato interno che ha visto immatricolare 1,317 milioni di veicoli nello stesso anno (UNRAE). Nella graduatoria del nostro export nazionale, i veicoli pesano per un 4%, a cui si aggiungono i componenti per l’automotive, molti dei quali vengono venduti proprio ai tedeschi, per un altro 2,5%. La legacy del nostro Paese con il comparto automotive è fuori discussione, per ragioni storiche, di conoscenza accumulata, capitale umano, capacità di innovazione ed eccellenza sia di prodotto finale che di componentistica.
Sarebbe però un grave errore guardare al futuro con la nuca, soprattutto quando è in discussione la trasformazione di un’intera filiera verso l’elettrificazione. Si tratta di una transizione di cui abbiamo già discusso in precedenti occasioni su queste pagine, che vedrà asciugarsi tutta la catena di fornitura dell’automotive a causa di: a) il ridotto numero di componenti da assemblare, b) la semplicità dei processi costruttivi. Una sfida epocale anche per le ripercussioni occupazionali.
Il tour in Europa di Elon Musk, culminato, per quanto ci riguarda, con l’incontro a Palazzo Chigi con la premier Meloni il 15 giugno 2023, ha giustamente catturato le pagine dei giornali e dei siti di informazione, soprattutto perché Mr. Tesla sembra essere alla ricerca di un nuovo sito per la prossima giga factory da piazzare in Europa. Può l’Italia giocare le sue carte e farsi avanti in questa occasione come hanno fatto i tedeschi nel 2015? Cioè, nella migliore delle ipotesi, ben 8 anni dopo quelle discussioni che portarono alla inaugurazione di Berlino a marzo 2022?
Tesla: com’era ieri, cos’è oggi
Per rispondere a questa domanda conviene esaminare con attenzione tutti gli elementi informativi di cui disponiamo.
Innanzitutto, la Tesla del 2023 non è quella del 2003, anno della sua fondazione, quando giocava la partita dell’auto elettrica da sostanziale monopolista, posizione che ha tenuto per un discreto tempo nel mercato. Nel numero di giugno / luglio 2023, la rivista americana Fortune riporta, in un articolo dedicato all’esperienza tedesca di Tesla, quale sia lo stato di salute del produttore americano. Nel 2022 Tesla ha venduto 1,3 milioni di veicoli, entrando per la prima volta nella classifica dei primi OEM al mondo, ma appunto al ventesimo posto. La distanza è enorme da nomi come Toyota, stabilmente al comando con 10,5 milioni di consegne, Volkswagen con 8,3 milioni, Hyundai Kia con 6,8, Renault / Nissan con 6,3 ed infine Stellantis al quinto posto con 5,8 milioni di consegne. Nell’automotive, maggiori sono i volumi prodotti e venduti, maggiori sono le economie di scala, maggiori sono i vantaggi di costo con cui si compete nel mercato. Tesla ha ancora molta strada da fare.
In secondo luogo, Tesla non è più da sola. Da una quota di mercato di quasi il 30% nel 2019 di tutti i produttori di veicoli full electric al mondo, nel 2022 la medesima quota si è assestata al 16,5% (Fortune, giugno / luglio 2023), con una offerta limitata a solamente 4 modelli (Model X, Model S, Model Y, Model 3). Non a caso Musk ha annunciato un’aggressiva politica di prezzo, con forti conseguenze sulla riduzione dei margini, per preservare la quota di mercato e non vedere arretrare nel futuro le produzioni.
In terzo luogo, la catena del valore di Tesla è unica e irripetibile, al momento. I ricavi non vengono solo dalla vendita delle auto: quasi 2 degli 81 miliardi di dollari di ricavi 2022 vengono dalla vendita dei certificati verdi (carbon credit) che Tesla acquisisce a costo zero dalle autorità – per il fatto di produrre auto ad emissioni zero – e vende agli altri OEM con un margine di profitto virtualmente infinito: trattasi si una linea di ricavi che è allo stato iniziale e che ha prospettive di crescita enormi. Altri 4 miliardi di dollari vengono dalla vendita di sistemi di stoccaggio dell’elettricità con la commercializzazione di pacchi batteria ad alte prestazioni. Elon Musk è abilissimo negli annunci ad effetto, che Fortune chiama, senza mezzi termini, “moonshot”, vere e proprie sparate comunicative che trasmettono una visione di un futuro molto diverso dall’attuale. Le sue posizioni più recenti sono: 1) la centralità del software per la guida autonoma, 2) l’investimento di svariati miliardi (non è noto l’importo esatto) in un sistema di High Performance Computing (HPC) di nome Dojo che al momento sta acquisendo tutte le immagini delle telecamere dei veicoli Tesla in circolazione per affinare ulteriormente, grazie all’intelligenza artificiale, gli applicativi per la guida autonoma; 3) robot per l’automazione industriale che per Musk avranno a regime numeri spaziali, nell’ordine di 20 mila unità all’anno ad un prezzo di mercato di circa 20mila dollari l’uno (dichiarazione fatta dal CEO in occasione dell’ultima dell’assemblea dei soci a Austin, Texas). Tesla gode, secondo i dati del bilancio 2022, di riserve di cassa per oltre 22 miliardi di dollari, un vantaggio non da poco per sostenere gli investimenti di cui sopra, ivi incluso la continua espansione produttiva per raggiungere maggiori economie di scala.
In quarto luogo, nella misura in cui l’esperienza di Tesla in Germania, sebbene agli inizi, possa insegnare qualcosa a chi ospiterà la sua seconda giga factory in Europa, l’evoluzione dei rapporti con il territorio non è stata, fino ad ora, una costellazione di rose e fiori. Fortune riporta come le rimostranze sindacali tedesche, espresse dal potente IG Metall, stanno assillando il management americano a Berlino. In particolare, alcune politiche sulle risorse umane non sono piaciute affatto alle autorità locali che accusano Tesla di fare esclusivo ricorso ai contratti a termine, non convertiti a scadenza in contratti definitivi, in modo da aver le mani libere per assumere nuovi lavoratori, e offrire loro le medesime condizioni iniziali.
Tesla non è un produttore di auto tradizionale che beneficia automaticamente delle conoscenze e del valore della filiera automotive in Italia. Non è nemmeno un puro car maker, avendo importanti progetti di sviluppo e ambizioni in business correlati. Tutto dipende, come sempre, dalle capacità della sua leadership di tradurre i sogni in azioni. Per un lungo periodo i mercati finanziari sono stati affascinati dai moonshots di Elon Musk, un idillio che è terminato nel novembre del 2021 quando il titolo dell’azione ha iniziato a perdere valore dagli oltre 380 dollari agli attuali 260.
Cosa serve perché Tesla apra una fabbrica in Italia
Se Tesla aprirà una fabbrica di automobili in Italia sarà senz’altro perché il Governo italiano farà importanti concessioni e assicurerà incentivi. I vantaggi occupazionali per la regione che ospiterà l’insediamento produttivo, saranno immediati e visibili; sono, invece, tutti da verificare i vantaggi sulla filiera italiana dell’automotive, per le ragioni espresse sopra.
Infine, non è da dimenticare il ruolo di un convitato di pietra finora non citato, ovvero Stellantis. Al momento, in Italia, la produzione di veicoli full electric è limitata al polo di Mirafiori: Fiat 500 elettrica e in arrivo alcuni modelli Maserati, in altre parole, volumi contenuti e/o di nicchia. Con numeri piccoli le economie di scala sono molto contenute e non giustificano un’importante costruzione di una nuova filiera per l’elettrico. Tutto dipenderà dalle decisioni strategiche che verranno prossimamente prese dal management (molto francese) del gruppo in cui è confluita FCA.
Concedere incentivi corposi per avvantaggiare la costruzione della seconda giga factory di Tesla in Italia è un’opzione che va attentamente valutata. Il denaro è un bene fungibile: una politica industriale deve decidere chi deve essere protetto, incentivato e avvantaggiato, sempre nel rispetto delle norme europee. Le medesime risorse possono essere spese in altri comparti industriali a fronte di un’analisi comparata dei vantaggi e svantaggi nell’investire in uno specifico settore, soprattutto quando all’orizzonte emergono nuovi campioni nazionali che oramai non sono più nell’automotive ma nel farmaceutico.